[oblo_image id=”1″] Il Tour è tornato a Tarbes. Il 18 Luglio 1995 sulla discesa dell’Aspin si spezzarono i sogni di Fabio Casartelli: una scivolata, la testa che sbatte contro un piloncino di cemento e tutto si spegne. A nulla servono i corsi, a nulla vale la corsa in elicottero in ospedale. Due giorni più tardi Lance Armstrong regalò uno scatto furioso, di rabbia incontenibile per arrivare sul traguardo dedicando al cielo la vittoria più malinconica della sua carriera. Il 12 Luglio 2009 un altro italiano, Franco Pellizotti ne ha onorato la memoria con una fuga coraggiosa e folle. Lui e il francese Fedrigo contro il gruppo. Così indomiti da resistere al vento contrario, alla fatica, all’inseguimento di intere squadre organizzate. Sul traguardo l’ha spuntata il transalpino: Pellizotti ha scosso per un attimo il capo, poi si è complimentato con il compagno d’avventura. Quando è bello lo sport è così: uno vince, l’altro gli rende merito dopo aver fatto tutto il possibile per batterlo. Una scena che in un curioso incrocio di emozioni fa tornare alla mente un’altra immagine di Fabio Casartelli. Un’istantanea felice datata 1992. Olimpiadi di Barcellona, Fabio non era il favorito nè era il capitano della nazionale azzurra, ma dopo 250 chilometri è stato lui a presentarsi sul traguardo a braccia alzate e con il sorriso solare di chi si sente in cima al mondo. Sullo sfondo di quella fotografia c’è un corridore con la maglia arancione. È l’olandese Erik Dekker e aveva fatto gara con l’italiano. Si erano lanciati in fuga quando i chilometri che mancavano al traguardo erano tanti, si temeva troppi. Sempre d’accordo, cambi regolari ogni 100 metri e continui incitamenti per farsi forza. Non bisogna girarsi, non bisogna guardare il gruppo che minaccia di inghiottirti, vietato avere paura. E allora i due continuano a parlarsi, a ripetersi che era la fuga buona, che doveva essere assolutamente la fuga buona. Quando si è due contro tutti, la solidarietà viene naturale. Avevano resistito e all’ultimo rettilineo il gruppo aveva ancora 50 metri di troppo da recuperare. Una volta realizzata l’impresa per i due iniziava la sfida più dura: da alleati diventano rivali. Perché sul gradino più alto del podio può salirci uno solo. La volata nel ciclismo è come un duello: entrambi i contendenti sanno di avere a disposizione un colpo solo. Bisogna cogliere l’attimo giusto, intuire il momento propizio per scaricare sui pedali le poche energie rimaste. Dekker teme l’italiano e prova a sorprenderlo partendo lungo ma quel giorno contro Casartelli non c’è nulla da fare. L’italiano lo passa di slancio, ha una progressione splendida. Anche Dekker se ne accorge e quando mancano cinquanta metri dal traguardo lascia le mani dal manubrio. No, non vuole imprecare né è impazzito. Dekker vuole applaudire Casartelli. Lo vede alzare le braccia al cielo e vuole far sapere che anche secondo lui ha vinto il più forte, che perdere da uno così non fa male. Quell’applauso è il miglior omaggio che sia stato fatto a Fabio Casartelli. Ancora oggi Dekker quando ripensa a Casartelli rivede le immagini dell’Olimpiade, della loro fuga, di quella volata senza storia. Inebriante come il sorriso di quel ragazzo caduto sulla discesa dell”Aspin il 18 Luglio 1995, ma che nel gruppo nessuno ha dimenticato.

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