Bobby Fischer
Bobby Fischer

C’è chi è cittadino del mondo sentendosi a casa propria in ogni angolo del pianeta  e c’è qualcuno a cui il mondo va stretto. Bobby Fischer si sentiva libero e a casa soltanto in uno spazio delimitato da 64 caselle: lì era il re, sicuro come chi ha il pieno controllo di quello che sta facendo, irraggiungibile ancora più che intoccabile. Fuori dal suo gioco, dai suoi schemi, dalle sue idee diventava vulnerabile, incompreso, incapace di legarsi a qualcosa o a qualcuno. Gli Stati Uniti che lo avevano per una breve parentesi osannato e strumentalizzato, avevano finito per rinnegarlo, arrestarlo, espellerlo.  La sua patria coincideva con la popolazione scacchistica: per chi si è cimentato o anche solo ne ha sentito parlare, Fischer rimane qualcosa di unico, sospeso tra leggenda e storia. Più che isolato era solo e non ha mai fatto nulla per trovare compagnia Ha imparato il gioco da autodidatta leggendo un libricino quando aveva sei anni, ha divorato tutti i record di precocità incassando successi giovanili con una rapidità vorticosa perso nel suo sogno di diventare campione del mondo. Hanno provato a fermarlo: niente da fare, respinti con perdite. I russi facevano gioco di squadra? Vinceva lui. I rivali svolgevano una preparazione personalizzata per metterlo in difficoltà? Vinceva lui. Sempre e comnque. Li annientava con una ferocia che nella letteratura sportiva si è apprezzata solo in Eddy Merckx. La sua cavalcata verso il titolo iridato del 1972 ha regalato la massima visibilità della storia degli scacchi: il match del secolo a Reykjavík contro il campione in carica (il russo Boris Spasskij) aveva ancora i contorni della guerra fredda. C’era una tacca da mettere per vantarsi di avere la supremazia intellettuale: un blocco che dominava da una vita negli scacchi forte di una tradizione e di una scuola contro una nazione che scopriva il mondo delle 64 caselle per tifare Fischer. Ma queste cose a Bobby interessavano poco, lui era in bilico tra la brama di essere il migliore e le manie di persecuzione di chi non si sente mai realmente capito. Bobby minacciò di non presentarsi al match. Perse la prima partita e minaccio di ritirarsi. Non si presentò alla seconda e minacciò di ritirarsi. Si presentò alla terza e recuperò fino a vincere in scioltezza. Il problema è che si è ritirato dopo. Aveva raggiunto il suo sogno,poteva fare tutto e ha preferito sparire. In polemica con la federazione internazionale, con le proprie istituzioni, con il mondo intero. Non difese il titolo, non giocò partite ufficiali per vent’anni, arrivavano ogni tanto frammentari aggiornamenti da chi millantava di avvistarlo. Poi nel ’92 decide di riaffrontare il vecchio rivale Spasskij. Avrebbero trovato sponsor per organizzare il match ovunque, ma Fischer sceglie Sarajevo a quel tempo inibita dal governo americano. Gli arriva la diffida istituzionale, lui la porta in conferenza stampa e ci sputa sopra. Letteralmente. Bobby rivince il match e risparisce. Poche tracce fino al 2004 quando viene arrestato a Tokyo su mandato del governo americano per un’irregolarità sul passaporto secondo la versione ufficiale. Tra gli attestati di sostegno degli appassionati, uno è speciale. Porta la firma di Boris Spasskij che scrive al Presidente degli Stati Uniti: “Non difendo Fischer: lui è fatto così. Le chiedo in prima istanza un atto di clemenza: la grazia. So che è difficile e allora dato che io e Bobby ci siamo macchiati dello stesso crimine con il match del 1992, punisca anche me. Mi metta nella stessa cella di Fischer e ci faccia pervenire una scacchiera”. Fischer verrà rilasciato pochi mesi dopo perche l’Islanda, memore del match del secolo, gli concederà la cittadinanza. Lascerà questo mondo che gli stava così streto in un mattino di gennaio del 2008: aveva 64 anni come le caselle del gioco (tanti fuoriclasse della scacchiera se ne sono andati a quell’età; chi scrive è un mezzo giocatore, di anni ne ha 32 e fa gli scongiuri del caso). Fischer non aveva bisogno neanche di morire per entrare nel mito, lo aveva fatto già da tempo. Che sia finito sopra o sotto, avrà bussato, si sarà lamentato per qualcosa o per qualcuno, avrà litigato con chi gli sarà capitato a tiro e alla fine si sarà fatto portare una scacchiera. E si sarà risentito a casa.

Sei anni senza Bobby Fischer: genio storia e mito degli scacchi
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