[oblo_image id=”1″]Qualcosa di nuovo sembra sorgere a Est. Dopo la Storia è il cinema, la settima arte, a realizzare i sogni di un popolo. La madre Europa torna ad abbraccia antichi fratelli, slavi e latini, separati in casa per anni. Un tempo soggiogati da una “guerra fredda” persa in casa e sottoposti al peso di un invadente partito comunista.

Ora tornano, perché come si dice al cinema “a volte ritornano”, accolti dagli euro scettici non proprio a braccia aperte. Romania e Bulgaria, non più solo zingari o mandanti di Alì Agca, ora europei.

Europei per nascita quanto per definizione lo sono i cittadini di Sofia e di Bucarest.
Europei con il fardello di una storia pesante e di un economia ridotta al minimo di sussistenza. Lì dove i libri di storia restano ancora un po’ più pesanti da aprire che nel resto di Europa; lì dove nuove energie nascono per risollevare un Vecchio Continente come il nostro e si mettono in moto al rumore del primo ciak.

Il cinema ha scelto l’Est Europa. Hollywood, dove le industrie cinematografiche si riunirono perché de-tassate dal governo Usa, si sposta in Romania, che rimane sempre più a Ovest di Hollywood e sempre più a Est di Cinecittà.

La location Romania è un esempio eclatante di quel che è accaduto, considerato come rumore di fondo,sottovoce, senza troppe urla, ma con i fatti che parlano attraverso numeri considerevoli.

Block buster come “Could Mountain” e “Oliwer Twist”, hanno radici romene, non solo Dracula e Transilvania al cinema dunque.

In un paese dove il Pil è pari a 248.000 milioni di dollari, un quinto dell’economia nazionale gira intorno al cinema visto che i produttori americani vi hanno speso, solamente lo scorso anno, in loco una cifra vicina ai 50 milioni di dollari.

Nel 1997 vi furono le prime avvisaglie del boom e il budget medio per le pellicole girate in Romania si aggirava intorno alle ottocento -novecento migliaia di dollari. Attualmente le cifre spese ammontano a trecento-quattrocento mila dollari per bimestre.

Da quanto documenta la rivista made in USA, The Hollywood Reporter, su un totale di spesa attestato intorno agli 80-90 milioni di euro complessivi del costo di un film, il 20% di tale cifra rimane in Romania. Durante i mesi di lavorazione per la produzione del film trovano lavoro più di duecento persone. Senza considerare l’indotto trascinato: di conseguenza guadagnano anche gli albergatori, i ristoratori, i free lance e le piccole attività locali.

Com’è comprensibile capire, non è quindi facile calcolare il reale giro di affari che l’industria cinematografica internazionale realmente muove. Le produzioni realizzate in Romania hanno un costo inferiore del 70% in meno rispetto a quelle prodotte negli Usa e Canada, il 60% in meno rispetto a Praga e il 30% meno che in Ungheria.

Gli studi romeni di cinematografia hanno triplicato la loro attività in soli sei anni. E a beneficiare di questo imprevisto e creativo exploit economico è anche la cinematografia rumena in generale, che negli ultimi mesi non solo produce ma esporta anche i suoi prodotti.

Un tempo era impensabile la sola produzione di film come A Est di Bucarest di Corneliu Porumboiu, discreto successo commerciale e di critica anche qui da noi visto che ci ha pensato il cineasta Nanni Moretti a promuoverlo e proiettarlo al suo Nuovo Sacher di Roma, ed è altrettanto vero che proprio nessuno qualche anno fa avrebbe mai scommesso sul fatto che la Palma d’oro del cinema di Cannes potesse andare ad un film rumeno, cosa che è avvenuta alla scorsa 60esima edizione, quando ad aggiudicarsi il titolo è stato 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Nemescu.

Tutti segni di un fenomeno che funziona,che trascina e che affascina. Romania nuovo modello verso cui guardare per i sogni di celluloide e un economia che riprende a mettersi in marcia.

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