[oblo_image id=”1″] Roger Federer, Andy Murray, Andy Roddick e Tommy Haas sono i semifinalisti dell’edizione numero 123 di Wimbledon. In un torneo orfano di Rafa Nadal e così assolato da rendere superfluo l’ultratecnologico tetto sul campo centrale, si aprono scenari suggestivi in un libro destinato a regalare il meglio nelle ultime pagine. Un giallo che deve ancora svelare il nome del protagonista,  un romanzo epico in attesa di celebrare l’eroe da esibire sulla foto di copertina. In lizza sono rimasti il favorito d’obbligo, due outsider e una mina vagante.

Se vincesse Federer sarebbe l’ennesimo appuntamento con la storia. Lo svizzero è alla caccia del quindicesimo titolo dello Slam – record assoluto – e dei punti necessari per tornare numero 1 del ranking. Ha in mano le carte migliori: è il più forte, ha l’esperienza e il carisma per gestire i momenti più delicati. La partita contro Karlovic è stata da manuale: contro una macchina da ace, re Roger non si è scomposto conducendo il match con l’autorità dei grandi. Ha un vantaggio rispetto agli avversari: sa che se gioca al meglio delle possibilità, la coppa non può sfuggirgli.

Se vincesse Murray si scriverebbe una favola. Wimbledon è impazzita d’entusiasmo per il giocatore di casa (anche se Murray è considerato britannico quando vince e scozzese quando perde…) Un’arma da non sottovalutare soprattutto ora che le partite vivranno sul filo dell’equilibrio. Ma il suo gioco ha mostrato anche qualche incrinatura: ha sfruttato un tabellone morbido, il difficile viene adesso.

Se vincesse Haas, sarebbe la più grande sorpresa del torneo dal 1991 quando Goran Ivanisevic alzò la coppa dopo aver beneficiato di una wild card. Il tedesco a 31 anni è nettamente il più anziano del lotto dei semifinalisti. Ha eliminato nei quarti Djokovic grazie alla personalità: sa leggere come nessuno la partita cambiando tattica e ritmo a seconda dell’avversario. Ma non ha l’esplosività degli altri ed essere arrivato fin qui sembra già un’impresa.

Se vincesse Roddick, si tratterebbe di un premio all’orgoglio. Un riconoscimento alla caparbietà di un ragazzo divenuto numero uno presto – forse troppo – e che ha incassato per anni le bordate di Federer e Nadal senza smarrirsi nonostante la pressione di dover mantenere in alto il tennis a stelle e strisce dopo l’abbandono di Pete Sampras e Andrè Agassi. Ha pazientemente lavorato raccogliendo le briciole concesse dai due dominatori sulla scena mondiale. Può contare su un servizio atomico e su una solidità mentale invidiabile: non è il migliore, ma chi vuole la Coppa sa di doversela vedere con lui.

E ora parola al campo. Perchè se come ricordano gli organizzatori francesi “è il Tour a fare grandi i corridori”, è altrettanto vero che nessun altro torneo sa regalare lo stesso fascino e la magia di Wimbledon. Non un torneo, ma il torneo.

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