[oblo_image id=”1″] Premessa doverosa. Rino Gattuso è forse il modello migliore da presentare ad un bambino che incomincia a dare calci ad un pallone. E’ l’esempio di come volontà e sudore possano arrivare dove non arriva il talento, la dimostrazione che per essere leader il carattere conti più del talento naturale. Sulla sua integrità, rettitudine e lealtà sportiva non vi è dubbio alcuno. Un’immagine così specchiale da non essere scalfita neanche da uno spiacevole equivoco. 23 Marzo 2005: dopo la vittoria con la Roma all’Olimpico, Gattuso rifiuta di sottoporsi al test antidoping sangue-urina. Effettuerà il controllo a distanza di qualche giorno criticando le condizioni del laboratorio dell’Olimpico. La vicenda si chiude fortunatamente senza ulteriori strascichi. Non rispolveriamo questa storia ormai datata per rievocare fantasmi: il giocatore del Milan è lontanissimo dal doping, lo racconta un’intera carriera. Ma l’episodio ci serve per sollevare più di un punto interrogativo su un altro caso più spinoso e di stretta attualità. Il Tas, il tribunale arbitrale dello sport, ha condannato ad un anno di sospensione Daniele Mannini e Davide Possanzini per essersi presentati in ritardo al controllo antidoping dopo Brescia-Chievo del 1°Dicembre 2007. Poca importa che lo stesso tribunale ammetta l’estraneità dei giocatori all’uso di sostanze illecite: la mancata puntualità è sanzionabile come mancata cooperazione con gli organi di controllo. Stravolti così i precedenti gradi di giudizio: l’assoluzione in prima istanza, la sospensione di appena 15 giorni inflitta dal Coni. E allora il paragone con il precedente di Gattuso stride come un fischio sinistro, un rumore sordo, fastidioso quasi molesto. In quell’occasione per il mastino rossonerò la mobilitazione in sua difesa fu immediata. Ora la levata di scudi per Mannini e Possanzini deve essere di pari livello. E la posizione dell’Aic che minaccia uno sciopero non è eccessiva. Perchè, ripetiamolo, l’errore non sta nel nulla osta per Gattuso, ma nel colpo di mannaia inferto ai due ex giocatori del Brescia. Non si tratta di reclamare un mieloso happy end. Semplicemente si tratta di rivendicare l’indulgenza se non l’innocenza per chi si è macchiato di una leggerezza, Senza barare e senza aver voglia di farlo. Ed è un diritto che vale per un campione del mondo, per Mannini e Possanzini e per tutti gli altri.

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