[oblo_image id=”2″]Con il suo secondo lungometraggio Kristen Sheridan realizza una vera e propria commedia musicale in stile moderno. Non si gode della solita recitazione cantata, segno inconfondibile del musical classico, eppure la musica passa con enfasi per ogni personaggio, conquistandone la mente e l’immaginazione. La caratteristica di questo genere cinematografico si riassume, infatti, proprio in una trasformazione soggettiva del sonoro, per realizzare quello che Sergio Miceli chiama il “livello mediato” della musica rispetto all’immagine. Si tratta ovvero di una dimensione di collegamento e di modulazione che il personaggio crea tra la musica appartenente al contesto della scena, la così detta “musica interna”, e quella che solo lo spettatore può ascoltare, ovvero la “musica esterna”.
Esempi di tale forma audiovisiva si avvicendano nel film a cominciare da una delle scene iniziali, quella che descrive l’incontro di Louis, chitarrista e cantante pop, con Lyla, violoncellista classica, su un tetto di New York. Il motivo che lui intona si trasforma, poco dopo, in un brano di livello esterno, come se il messaggio musicale potesse valicare la realtà della narrazione e approdare all’orecchio del pubblico attraverso un’evoluzione che rispecchia l’emotività e il desiderio del personaggio.

È una musica che si fa comunicazione impellente fino a diventarne il motore ossessivo, la chiave di volta di una ricerca interiore. Il giovane Evan è infatti animato dal sogno di mettersi in contatto con i suoi genitori e sente che può farlo solo attraverso un linguaggio che lo pervade dall’infanzia, ancor prima di averlo appreso. La sua genialità, certo, facilita le cose e il suo “orecchio assoluto” lo proiettano verso un facile successo; tuttavia la musica, nel processo creativo del film, viene concepita come vera e propria vibrazione di fondo, e non solo come il veicolo concreto di una missione. Essa si scopre riverbero di una realtà fenomenica ampia in cui si è immersi e inesorabilmente influenzati, fino a diventare il rumore stesso dell’Universo, come l’ambiguo personaggio del “mago” sembra voler sottolineare. Il richiamo al pensiero di Alfred Tomatis è forte e inevitabile, e induce a riscoprire quello stretto legame tra suono e vita, ingiustamente trascurato da un predominio della visione tutto di matrice occidentale.

[oblo_image id=”1″]Di grande rilievo è poi l’attenzione prestata al suono degli oggetti, a quell’ascolto del mondo che sembra animare il giovane protagonista fin dalla sua apparizione. Infatti lo vediamo immerso in un campo di grano, intento a sentire quella sinfonia che il vento compone muovendosi tra le spighe. Quasi uno “zoom sonoro” su un ritmo naturale, che viene esaltato dal movimento vorticoso della macchina da presa. Al di là dell’effetto audiovisivo, questa scena sembra portarci a due ricerche contemporanee che legano la musica agli oggetti e all’ambiente. La prima riguarda la musica concreta, teorizzata dal francese Pierre Schaffer, che è tesa ad affinare l’ascolto dei suoni prodotti dalle cose, i famosi “oggetti sonori”. L’altra ricerca è quella relativa al paesaggio sonoro di Murray Schafer, incentrata sulla descrizione acustica del paesaggio in cui si vive.
Di grande effetto, a tale proposito, è la scena dell’arrivo in città di Evan, della sua sintonizzazione con i rumori del traffico stradale, presto tramutati in ritmi dal suo orecchio prodigio.

Non da ultimo, ancora, è il richiamo al potere curativo della musica, come nella scena in cui Evan, ormai diventato August, e il padre si cimentano in un duo improvvisato di chitarre, come se fosse un’esperienza di “dialogo sonoro”, ovvero un gioco di armonizzazione con l’altro partendo da una cellula melodica imitativa. Davvero un piccolo saggio di musicoterapia.
Infine c’è la presenza, nell’intera colonna sonora (ad opera dell’eccellente Mark Mancina), degli echi New Age, riconoscibili dai suoni della natura e dalle atmosfere dilatate ed ecolaliche. Il compositore, in realtà, da vita a un’incredibile commistione di generi. In particolare è nel brano scritto da August Rush che si realizza una straordinaria sintesi sonora, non solo strumentale e tematica ma anche semantica ed emotiva. Si svela la complessità di un messaggio musicale tipico dell’epoca contemporanea che il ragazzo pare raccoglie durante tutta la sua avventura, trascinando con sé il tema quasi fosse un’aquilone, per poi riversarlo nella formidabile rapsodia finale.

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