La mia classe Mastandrea
La mia classe Mastandrea

“Le uniche poesie che vale la pena scrivere sono quelle con dei versi che se si prendono e si tirano contro una finestra, il vetro si deve rompere.” 

 

Daniil Charms.

 

Quando la realtà, la cruda realtà, entra nella finzione di un set cinematografico (un piccolo mondo perfetto, composto, preordinato), senza che tu, impotente, possa intervenire in alcun modo, è proprio in quel momento che ti poni delle domande sul valore educativo del cinema, se “ne vale la pena”. E’ quello che è accaduto a Daniele Gaglianone, regista del docufilm La mia classe dall’alto valore etico, politico, culturale.

Il protagonista, interpretato da un umanissimo e sensibilissimo Valerio Mastandrea, è un maestro di italiano L2 (italiano per stranieri) che insegna a 16 studenti immigrati “veri” che interpretano se stessi in una classe di un CTP (centro territoriale permanente) a Torpignattara, nella periferia di Roma.

La struttura narrativa è molto particolare, sperimentale direi, affidata alla spontaneità dei ragazzi e all’improvvisazione dell’unico attore in scena, Valerio Mastandrea appunto, e unico a seguire una sorta di canovaccio. A complicare la sceneggiatura è un evento inaspettato, ma assolutamente reale: uno dei ragazzi protagonisti del film ha problemi a rinnovare il suo permesso di soggiorno per protezione umanitaria ed il regista, gli sceneggiatori e lo stesso Mastandrea attraversano un momento di profonda crisi. L’intero progetto rischia di saltare. Ed ecco il colpo di genio, l’escamotage perfetto ma sicuramente più rischioso: scendere in campo, tutta la troupe e i suoi componenti, e diventare essi stessi attori secondo l’artificio del metateatro pirandelliano, per rappresentare proprio la loro impotenza, il loro piccolo fallimento, anzichè farsi sterili difensori dei più deboli con l’intento di pulire le coscienze degli spettatori.

 La finzione è adesso realtà e la realtà è ancora più vera. Da questo momento allo spettatore diviene difficile distinguere i due livelli che si intrecciano fino a diventare inscindibile. Il tema della clandestinità, dei diritti dei rifugiati politici, della difficoltà d’integrazione è trattato non mostrando volutamente situazioni di estrema difficoltà, ma attraverso le storie dei ragazzi, scelti cercandoli tra i Ctp e le varie associazioni che compongono la Rete Scuolemigranti del Lazio (Easther, la ragazza senegalese, è infatti alunna alla mia associazione  Casa dei Diritti sociali), attraverso le loro lacrime e le loro paure. A loro volta, non si fanno conoscere per il loro vissuto ma si fanno apprezzare per il loro carattere e la loro simpatia che emerge durante le lezioni.

 Il film vuole dimostrare quanto l’istruzione sia una utile forma di aggregazione sociale nonché di riscatto e che sia dunque necessario poterla garantire a tutti. Dopo essere stato presentato alle Giornate degli autori dell’ultima Mostra internazionale del cinema di Venezia (che si è svolta dal 28 agosto al 7 settembre), è attualmente ospite di vari festival internazionali tra cui il Bfi London film festival. AgisScuola (referente del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per quanto riguarda la diffusione di film di alto interesse culturale e didattico) lo ha inserito tra i titoli da proporre quest’anno nelle scuole.

La mia classe Mastandrea professore di italiano e non solo nella commedia di Daniele Gaglianone : un inno all’integrazione e al multiculturalismo
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