[oblo_image id=”1″] C’è molta ipocrisia mascherata da buon senso nelle polemiche che stanno accompagnando la faraonica campagna acquisti del Real Madrid. Tutti pronti a puntare l’indice verso Fiorentino Perez, reo di non aver badato a spese per dare vita alla seconda puntata del progetto “galactico”. Ma, premesso che 90 milioni per un giocatore rimangono una cifra da brividi, ci sarebbe da chiedersi dove siano stati finora tutti i grandi moralizzatori del pallone. A differenza di altre società, il Real Madrid può vantare un fatturato record. Secondo gli specialisti di pubbliche relazioni, Cristiano Ronaldo e Kakà sono destinati a divenire investimenti garantendo uno strepitoso ritorno economico. Per fare un esempio, se una grande casa di produzione cinematografica investe una cifra astronomica per la realizzazione di un kolossal ma chiude in attivo grazie alle vendite, chi può lamentarsi o gridare allo scandalo?  Converrebbe piuttosto non allontanare troppo lo sguardo per concentrarsi sui bilanci delle società nostrane. La squadra che ha dominato nelle ultime tre stagioni chiude regolarmente  in rosso e deve ricorrere a provvidenziali “iniezioni” da parte del presidente. Nella gestione Moratti, il saldo cessioni/acquisti segna un deficit che sfiora i 300 milioni di Euro. E non ci dilunghiamo sui soldi spesi per l’ingaggio di allenatori e giocatori… Il Milan ha voltato pagina, ma i tifosi rossoneri si stanno tristemente rendendo conto di quanto siano duri i sacrifici necessari per chiudere il bilancio in pareggio. Si critica il Real perché la sua politica non garantirebbe una concorrenza leale con gli altri club. Ma basterebbe osservare la spartizione dei diritti televisivi per accorgersi di come non sempre i principi di uguaglianza ed equità vengano rispettati. Cosa dovrebbero dire le piccole costrette ad accontentarsi delle briciole mentre le big si dividono beatamente le fette più grandi?

L’Uefa promuove il tetto degli ingaggi e dei salari come unica risposta per calmierare costi e prezzi. In linea di principio si tratta anche di una tesi condivisibile, ma verrebbe da chiedersi come mai quando una proposta analoga è stata avanzata in Formula Uno, si sia rischiato l’ammutinamento con stampa e media compatti nel prendere le difese delle scuderie predominanti? L’impressione è che i buoi siano ampiamente scappati dalla stalla: riportare il calcio alla dimensione di semplice sport quando ormai gli interessi sono divenuti stellari è operazione meritevole ma pressoché disperata. Non è un caso che la stessa Uefa avendo difficoltà a legiferare, abbia parlato di gentleman agreement, di accordo amichevole da trovare direttamente tra i club. Sapendo o facendo finta di non sapere, che il calcio vive di antagonisti in conflitto tra loro, con interessi contrastanti e divergenti. Non è un gioco di società tra amici di lunga data, ma è una competizione dove impera il mors tua, vita mea. O si attua un repulisti storico e si riscrivono le regole da zero, oppure attaccare chi spende tanto – potendoselo permettere – diviene un tardivo esercizio d’invidia buono solo per riempire le pagine dei giornali estivi.

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