[oblo_image id=”2″]Di recente avevo pensato al progetto di una nuova versione aggiornata di “Forza Italia!”, il mio film del 1978, feroce satira sul potere che raccontava trent’anni di storia politica italiana e che, all’epoca, venne massacrato dalla censura e messo al bando, segnando la mia carriera cinematografica e costringendomi a lavorare all’estero. Sono convinto di aver realizzato questa mia intenzione portando sullo schermo I Vicerè.
Convinto il regista. Certo perfino chi il film lo ha visto. “Standing ovation” per l’ultima fatica di Roberto Faenza che ha saputo ricavare dal voluminoso romanzo di Federico De Roberto un arazzo corposo e credibile della Sicilia di fine Ottocento, quella di una nobiltà arrogante e trasformista.

Nulla da dire: il film è una macchina ben oliata venuta fuori da un grande romanzo tardivamente riconosciuto. Durante la visione de “I Vicerè”, di quella scenografia fastosa ed epica, il paragone con il capolavoro di Luchino Visconti viene immediato, ma laddove Tomasi di Lampedusa, una generazione dopo, raccontava la Sicilia sì, ma con l’occhio volto al passato con aristocratico rimpianto,

[oblo_image id=”1″]”I Vicerè” la narrano da una prospettiva più audace, sebbene De Roberto fosse coevo all’epoca dei fatti narrati. Lo scrittore fu allievo di Verga e si nota bene dal taglio dell’opera. Il romanzo ed il film ci mettono di fronte a ciò che siamo e siamo stati. La corruzione, i conflitti dell’ aristocratica famiglia degli Uzeda, alla quale Lando Buzzanca ha prestato il volto del patriarca, sono tessuti in una storia che è iscritta nel Dna degli italiani. Sono attuali.

“Bellitalia” dedicherà al film un servizio sabato prossimo alle 12 e 55 su Rai 3. Un viaggio dietro le quinte della produzione che merita un plauso anche solo per la scelta scenografica, dove interni ed esterni rispecchiano abbastanza fedelmente la realtà catanese dell’Ottocento. La creatura di Faenza non è paragonabile a “Il Gattopardo” sebbene possegga i numeri per piacere. Dal punto di vista pittorico si colgono, all’inizio del film, chiari riferimenti alla lezione dei Macchiaioli. Epico per sonorità. Barocco, meravigliosamente barocco iconograficamente, “I Vicerè” è un film dalla doppia anima.

La vibrante sequenza finale con il Principe Consalvo (Alessandro Preziosi) in primo piano conferma uno degli intenti di Faenza: suonare una partitura sul potere con i trasformismi, l’arroganza di un ceto che sacrifica tutto sull’altare del potere stesso. Libertà è una parola che non significa niente ma che accontenta tutti. Libertà significa che ora che l’Italia è fatta e dobbiamo farci gli affari nostri, dice alla sorella il Principe Giacomo Uzeda (Lando Buzzanca) all’arrivo dei garibaldini. E l’interpretazione dell’attore palermitano sorprende per le doti drammaturgiche. Certo non è Burt Lancaster, ma è convincente la sua “perfomance”. E’ l’odio che ci fortifica, non l’amore, una delle dichiarazioni finali del Principe che rivela doti umane solo verso la fine del film.

La rappresentazione del “QuartoStato” è addirittura più verosimile del capolavoro di Luchino Visconti. Riserve per la interpretazione di una Capotondi (Teresa Uzeda) acerba e inadatta alla parte, sebbene il suo ruolo sia di contorno. Con questa produzione Roberto Faenza pareggia i conti: nel 1978 aveva creato ” Forza Italia!”, rilettura dissacrante di trent’anni di politica italiana. Il film fu naturalmente massacrato e gli costò l’esilio, come dichiara lui stesso, costringendolo a lavorare all’estero. Con “I Vicerè” il regista, che è anche sceneggiatore, si riscatta: il ritratto della classe politica è straordinariamente attuale.

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