Come può ignorare “la giusta distanza” chi scrive un articolo, se affronta il problema del “punto di vista” ad ogni angolo della realtà e del foglio? Alla luce del nuovo film di Carlo Mazzacurati, è doverosa una meta-riflessione sul delicato ruolo dell’inviato e del corrispondente.
La giusta distanza è un luogo fluttuante, come in qualche modo lo è la straordinaria ambientazione del film: un paesino presso le confondibili e affascinanti campagne della foce del Po. È un luogo/non luogo che si colloca tra i due poli reali dell’osservante e dell’osservato.[oblo_image id=”2″] Una problematica giornalistica ma anche, più largamente, antropologica. Questo pare comprenderlo il regista, che pone al centro della vicenda proprio un caso di immigrazione a cui si avvinghia ancora troppo fortemente il pregiudizio; i recenti fatti di cronaca non lo smentiscono.
Nel film la convivenza interculturale, sottolineata da quella musicale, si percepisce come il sogno di una modernità senza confini. Anche nella piccola località sull’argine fluviale, e forse proprio in questa comunità raccolta, il contatto con gli immigrati sembra possibile tanto che l’incontro culmina in una conviviale atmosfera di festa, ove musiche e danze tunisine diventano persino protagoniste.
Il dubbio e il sospetto tuttavia alimenteranno quella discriminazione ben annidata, spezzando l’idillio. L’ingiusta condanna del meccanico Hassan per l’assassinio della giovane amante cancellano ogni brandello di fiducia e di stima da parte dei popolani e anche Giovanni, il suo giovane amico, gli volta le spalle.
Tutto sembra placato e Giovanni entra, dopo alcuni anni, nella redazione di un quotidiano; “la giusta distanza”, il virtuoso coinvolgimento parziale, sembra aver trionfato. Eppure la rivoluzione e il capovolgimento hanno un sentimento sopito e proprio quell’emozione da controllare per mantenere il distacco necessario si fa invece amica nell’inseguire la verità. [oblo_image id=”3″]Il giovane giornalista si avventura oltre quella giusta ma asettica misura finendo per rompere i confini dell’atteggiamento razzista, per avventurarsi nel territorio culturale e umano dell’altro.
Scrivere obbiettivamente è un mito ormai superato; l’uomo che scrive è necessariamente coinvolto nella vicenda, attraverso emozioni, idee, esperienze e l’incontro è possibile solo ponendosi in gioco, per poi dallo scontro avviare l’ascolto. Questa la lezione di Mazzacurati, per il giornalista e per l’uomo.

Interessante l’elemento di “formazione” che il regista offre alla trama, sottolineando l’importanza di quell’apprendistato che troppo, oggi, si dà per scontato. Il rapporto diretto tra l’allievo e il professionista del mestiere passa attraverso dialoghi fatti di precisi consigli e ci fa ricordare che spesso la passione, da sola, non basta, se l’obiettivo è quello di imparare un’“arte” o un mestiere. Un passaggio di consegna della conoscenza che prevede irrimediabilmente difficili prove pratiche. Ma in questa storia il successo arriva proprio dall’esame più difficile: un tradimento coraggioso di quello stesso insegnamento ricevuto.

La giusta distanza

Regia: Carlo Mazzacurati
Sceneggiatura: Claudio Piersanti ,Marco Pettenello ,Doriana Leondeff ,Carlo Mazzacurati
Costumi: Francesca Sartori
Musiche: Tin Hat
Montaggio: Paolo Cottignola

Cast:
Giovanni Capovilla
Ahmed Hafiene
Valentina Lodovini
Giuseppe Battiston
Roberto Abbiati
Natalino Balasso
Marina Rocco
Fabrizio Bentivoglio

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