Che chi fa l’attore perché non può fare altro, perché ce l’ha dentro, e non può mettere a tacere il proprio talento, e c’è chi lo fa come si farebbe un qualsiasi mestiere. Poi quando tutto sommato si è capaci a farlo, si piace e si ha successo, forse ne è valsa la pena.

Giorgio Pasotti, per sua stessa ammissione, è uno di quelli, a cui è capitato, quasi per caso, di diventare attori. Ha l’aria pulita, parla bene, è educato, insomma sembra proprio il classico ragazzo per bene, e questa sua aria così, un po’ da perfettino, ce la mette anche nel cinema che fa.

Pasotti è rigoroso, come lo sport che ha praticato per anni, le arti marziali, che evidentemente gli hanno insegnato molto bene ad essere freddo. Ospite alla Casa del Cinema di Roma, nell’ambito della rassegna dedicata ai giovani attori italiani, Giorgio Pasotti si presenta al pubblico dopo la visione del film L’aria salata, un bel film: la storia di un padre e di un figlio che si ritrovano in circostanze piuttosto particolari, in carcere, l’uno di fronte all’altro. E’ un film arioso, nonostante la condizione di chiusura del carcere.

[oblo_image id=”1″]Pasotti è al suo decimo anno di attività, viene da tanta televisione, e la domanda diventa d’obbligo. In Italia è d’uso affermare che chi fa televisione, si brucia un po’ nel cinema, tu come hai fatto a non bruciarti? Io credo nella qualità, se poi viene fatta al cinema o in Tv non conta. Credo di aver fatto sempre scelte che avessero come scopo quello di fare cose di un certo gusto. Poi, ammettiamolo, in Italia il cinema è per privilegiati, e sulla TV non si può fare tanto gli snob, perché in fondo, devi pur pagare il mutuo, campare. Io cerco di fare le cose migliori possibili, per me ovviamente.

A proposito di scelte, c’è un film che ti è stato proposto, e non hai fatto, e che poi ti sei pentito di non aver girato? Ahimè sì, “Radio freccia” di Ligabue. Il protagonista sarei dovuto essere io, ma avevo preso degli impegni e non ho potuto farlo. E’ un film che ho amato molto, e devo dire Accorsi è stato bravissimo, non credo che mi rimpiangano.

Tu vieni da una carriera sportiva, come sei arrivato al cinema? E’ curiosa la mia storia, io fui ingaggiato per fare dei film sulle arti marziali in Cina, proprio perché venivo da questo mondo,e così è andata. Poi devo dire, mi ha affascinato questo mondo, e devo essere grato a Lucchetti, che mi propose di girare “I piccoli maestri”, da lì è cominciata la mia carriera, poco voluta, poco cercata, diciamo che mi è piombata addosso.

Quando hai capito e sei diventato consapevole che era quello il tuo mestiere? Proprio con Lucchetti, al primo film”.

Il film che ti piacerebbe fare? Quelli fatti mi piacciono tutti, non rinnego niente, anche se qualche scheletro nell’armadio ce l’abbiamo tutti. Il mio sogno sarebbe quello di interpretare un personaggio realmente vissuto. C’era qualche tempo fa un progetto di girare un film su Giusva Fioravanti, ma evidentemente è un tema ancora intoccabile. Mi è dispiaciuto, perché secondo me è una pagina che meritava di essere raccontata.

[oblo_image id=”2″]Tu sei uno che piace, che ha successo. Sei considerato un sex symbol, come vivi questa condizione? Non benissimo, ad essere sincero, perché è il segno che c’è una attenzione troppo spinta verso quello che sei, piuttosto che verso quello che fai. Poi, credo di avere una vita assolutamente normale, a tratti anche molto banale, quindi mi risulta strano che le persone siano morbosamente attratte dalla mia vita privata. Poi però bisogna anche dire, che è il prezzo da pagare per la notorietà. La TV me ne regala tanta, ma è anche un bene, perché ti consente di scegliere. Ci sono fior di attori in Italia, che non essendo noti, sono anche molto trascurati e stentano ad avere una possibilità. Io in fondo, sono un privilegiato, e questo, non posso negarlo, lo devo alla Tv.

Chi fa il tuo mestiere si espone molto al giudizio altrui, tu che rapporto hai con la critica? Io gli do molta importanza, e non credete a quelli che dicono che non è così, mentono, spudoratamente. Io sono uno di quelli che la legge, che sta male, che soffre, quando non è positiva, ma alla lunga, mi fa bene, mi aiuta a correggermi, io poi che non vengo da una scuola, ho molto bisogno di farlo.

Tu hai lavorato con molti giovani registi, hai fatto tre film con Muccino, alcune opere prime, come è andata? Cambia il rapporto quando ci si conosce già? Certo, anche nel cinema vale la regola sportiva:squadra che vince non si cambia, e con Muccino è andata proprio così. Poi con lui ci conosciamo da tempo, io ho assistito alla sua crescita, e lui alla mia. Ma devo dire che il più giovane di tutti quelli con cui ho lavorato è un grande vecchio di ben 94 anni, Mario Monicelli. Un onore per me lavorare con lui.

Qual è il tuo prossimo impegno? E’ un progetto che spero di realizzare. Magari anche dietro alla macchina da presa, perché è una cosa mia, e nonostante le mie lacune tecniche, forse proverò a farlo. Sarà un film sulla Cina. Io ero lì dopo le lotte studentesche, e ho visto una Cina diversa da quella attuale, oggi non c’è più, Shanghai non è diversa da New York, beh mi piacerebbe raccontare questa trasformazione. E’ un progetto ambizioso il mio, me ne rendo conto, anche in termini di produzione, ma miauguro difarcela.

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