La monografica ospitata a Palazzo Reale si contraddistingue per un’organizzazione all’insegna della compattezza concettuale, poche stanze divise per criteri cronologici che sono altrettante scelte stilistiche. Una rassegna completa, forse non eclatante, eppure esaustiva nel proporci un artista poco conosciuto ma tanto attuale. L’allestimento contribuisce in modo determinante alla comprensione dell’opera, dal momento che le pareti inclinate, i paraventi oscillanti aggiungono un sapore di precarietà e dinamismo alla statica canonica dell’impianto museale. Per un’arte che in museo non ha mai voluto finire, perchè nata per il mondo urbano e contemporaneo.

Divisionismo e visione fotografica
[oblo_image id=”4″]Giacomo Balla non nasce col futurismo. E’ il caso più unico che raro di Maestro che si fa trascinare, arrivato alla maturità artistica, nella rivoluzionaria impresa che i suoi allievi hanno inaugurato. Per chi non lo sapesse, può stupire vedere delle prime sale con opere già finite, addirittura foriere di due diversi stili.

Si distingue infatti la cosiddetta “maniera magra”: austera e povera, raffinata, trasposizione pittorica dei codici di fotografia e litografia praticate da Balla. Le opere, come il gigantesco Ritratto della madre, si distinguono per inquadrature audaci, disposizione drammatica della luce che crea bicromie violente o sottili passaggi tonali, quasi granulari. C’è poi la “maniera grassa”, luminosa, dove la pennellata materica accende un cromatismo squillante, tipicamente moderno. Eppure già Balla si discosta dal filone divisionista, come nella Giornata dell’operaio dove un trittico asimmetrico si propone di elaborare un contenuto narrativo in sequenze cinematografiche; il palazzo è la scena fissa di una sequenza temporale, in qualche modo una prima riflessione sul movimento.

Analisi del movimento
[oblo_image id=”8″]Alla fine dell’aprile 1910, Boccioni visita il suo ex-maestro Balla per invitarlo a firmare Il Manifesto tecnico della Pittura Futurista. Con incredibile coraggio e lo sperimentalismo che vederemo radicato in lui, il romano accetta, pur restando geograficamente isolato dalle attività milanesi. Dalla carta della lezione futurista, però, può ben attuare due concetti: la smaterializzazione dei corpi tramite moto e luce nonchè la ripetizione della forma in movimento (la mostruosità del cavallo a venti gambe). Balla adotta i nuovi segni della scienza in quanto opportunità di creare un nuovo linguaggio, non aneddotico e psicologico. Non c’è enfasi progressista nelle sue prime opere, ma lo studio sistematico del movimento organico, trascritto come una sintesi tutta mentale e non emotiva o simbolica. Non c’è segmentazione del movimento come negli studi fotografici di Marey, la diacronia del volo delle rondini è ribaltata nella sincronica sintetica di un solo istante, condensazione del pulsare e del frusciare dell’ala in un’unica forma ritmica. E’ la fine del divisionismo.

[oblo_image id=”3″]Addirittura, nel 1912 lo scopriamo intraprendere uno studio tutto astratto, propaggine estrema della sperimentazione di quegli anni, a proposito della composizione di forme e colori. Non è chiaro se le Compenetrazioni iridescenti siano esercizi strumentali o opere astratte autonome, ad ogni modo questa indagine personalissima è sintomo della propensione di Balla verso l’idea e non la materia, il linguaggio della pittura staccato dall’evento fenomenico. [oblo_image id=”1″]Il passaggio dall’organico allo studio della velocità meccanica (dell’automobile) è una rivoluzione. La prima opera compiuta, Automobile + vetrine + luci, è un lampo luminoso in cui i riflessi della scena urbana (assente) fanno esplodere la materialità dell’automobile. La composizione è a frammenti e satura tutta la tela, con una forte polarizzazione tra le zone chiara e scura. Eppure per Boccioni quest’opera è ancora troppo mimetica nei confronti della sensazione dinamica. Balla seguirà allora il giovane nella ricerca di equivalenti astratti al dato fenomenico. Rifiutando però l’emotività espressionista e concentrandosi piuttosto sulle sintesi lineari, sul modello scientifico. Eliminando i residui iconografici, entro il 1913 la composizione si affida a curve ellittiche che scorrono contro le linee oblique dell’opposizione dell’aria. La sintesi compositiva è ormai astratta, articolata per piani e linee essenziali. Procede come un grafico, non dà l’illusione del volume se non attraverso lo schema lineare, disegnandolo senza corporeità. Escludendo lo sguardo celebrativo o la tensione espressionista, Balla appare completamente immune dal soffio romantico che impregna molti quadri futuristi. Studia il tema plastico del dinamismo vedendolo come un problema di intervalli visivi e di ritmi astratti, mai di forze massicce in azione. La velocità non è più assimilata a un episodio cinetico, ma è diventata una categoria assoluta, un’idea totalmente plastica.

Quando giunge alla serie delle Velocità astratte, l’ombreggiatura delle linee conferisce però rilievo al piano, facendogli assumere consistenza volumetrica, vigore plastico e slancio dinamico. E’ a nostro avviso il momento di maggior adesione al movimento futurista così come capeggiato da Boccioni, ma forse anche il massimo tradimento ad una poetica personale che prometteva altri estremi. In sintesi, si può sostenere che all’eliminazione del soggetto illusionistico abbia fatto da contraltare l’introduzione di un trattamento pittorico illusionista. Stesso genere di “errore” che si è riscontrato prima nella pittura cubista e poi nel futurismo boccioniano: alla ricostruzione mentale del soggetto non fa seguito una pratica altrettanto mentale del disegno. La ricerca di Balla conferma pienamente che senza l’incontro con il cubismo, voluto da Severini e orchestrato da Boccioni, la strada del divisionismo della forma, inizialmente intrapresa dal futurismo, conduceva direttamente all’arte astratta.

Boccioni è stato sicuramente il Michelangelo del futurismo per il pathos drammatico e per gli accenti titanici con cui ha vissuto la sua ricerca, mentre Balla ne è stato il Leonardo. Per Boccioni l’energia diventava visibile solo tramite un impatto tellurico di materia cadenzato in flessioni e contrazioni corpose. Per Balla l’energia è invece immateriale come la luce, per questo può essere la semplice linea di una freccia che vola. La sua pittura, che è scheletrica, grafica, essenziale, oggettiva, punta sempre su una sintesi mentale.

Agli inizi del 1914 risale la messa a punto della linea di velocità, un segno lineare che rende il carattere subitaneo e bruciante della velocità in quanto flash, l’energia che si dispiega opponendosi all’inerzia, l’espressione immediata del movimento che non è mera traduzione di un percorso nello spazio. Già l’iconografia della macchina risulta limitante, così sequenziale, così lineare, impossibilitata a rendere la forza di energie in azione e reazione reciproca.

La rappresentazione delle rotazioni celesti rende ancora più estrema questa ricerca, dal momento che avviene nel vuoto siderale, sparisce il riferimento a corpi fisici e si instaura un gioco di arabeschi geometrici trasparenti. Forza pura del movimento che si inscrive nello spazio, concentrazione dell’energia nella sincronia che ignora la sequenza. Partendo da un contenuto reale (indicato nel titolo), Balla giunge attraverso la costruzione di una serie di opere sempre più rarefatte a lavori in cui il contenuto referenziale è ormai annullato. Ciò nonostante non giunge mai ad un’arte astratta che si autosignifica.

Ricostruzione futurista dell’universo
[oblo_image id=”2″]Il futurismo nasce fin dall’inizio come movimento globale, in quanto ipotesi politica e panestetica di una rielaborazione del mondo e della vita umana in funzione del futuro. Si tratta di una rivoluzione culturale totalizzatrice e continuamente in divenire. Quindi il soggetto del manifesto Ricostruzione futurista dell’universo (1915) non è tanto il settore delle arti applicate, cui il movimento si era già orientato per vocazione, ma la creazione di un’arte oggettuale, polimaterica e di forte impatto, esemplificata dai complessi plastici. L’opera d’arte come nuovo oggetto, nuova realtà creata con materiali assemblati che, integrati nel linguaggio dell’arte, diventano elementi astratti. Boccioni pensa addirittura a congegni che rendano l’opera cinetica, puntando nel contempo su un’esperienza unica ed indivisa contraria a quella frammentata che ne dà il cinema. Prendendo il concetto di sinestesia dalla psicologia della Gestalt, i complessi plastici vogliono essere un insieme simultaneo di sensazioni. Balla si cimenta in alcune opere tridimensionali di cui c’è testimonianza qui in mostra, ma il titolo della sezione abbraccia in realtà gli svariati versanti della vita quotidiana che il futurismo ha cercato di rivoluzionare.

[oblo_image id=”5″]Negli anni Sessanta, si fa un gran parlare del (supposto) nuovo fenomeno della “mail art”. In realtà l’avanguardia storica italiana può essere rivendicata come un precedente di questa esperienza artistica. Balla si dedica spontaneamente alla desacralizzazione dell’arte, alla sua introduzione nel quotidiano. La prima cartolina dipinta risale al 1912, quando si trova in Germania e vuole comunicare al suo allievo Gino Galli le ultime ricerche in fatto di composizioni cromatiche. Fino alla metà degli anni trenta e oltre, Balla si servirà in questo modo delle cartoline inviate agli amici futuristi e a conoscenti che non sono tra gli aderenti al movimento futurista, facendone i supporti effimeri di una creazione artistica sempre realizzata su misura, in funzione del messaggio e del suo destinatario. La scrittura e la grafica di questi lavori sono sempre orientati verso una ricerca espressiva, nell’intenzione di conferire la massima ricchezza al messaggio: la scrittura deve mimare con l’alterazione ortografica e sintattica il contenuto semantico e la tonalità espressiva del messaggio. Arriva addirittura a modificare il supporto stesso della cartolina, ritagliandone di proprie da cartoncini colorati, asimmetriche e di dimensioni variabili. Questi lavori sono espressione di un vitalismo gioioso e ludico, che vuole fare di ogni gesto quotidiano l’occasione di una festa di forme e colori.

[oblo_image id=”7″]In quanto movimento interessato alla vita ed all’azione, il futurismo si interessa dell’abbigliamento come discorso sociale. Si comincia con i calzini spaiati di Boccioni a Parigi per arrivare ai primi vestiti di Balla realizzati nel 1912. Si rivendica con essi la libertà dell’individuo di valorizzarsi, l’affermazione della propria singolarità. Quando invece nel 1914 verrà lanciato il manifesto relativo, si esalterà una scelta collettiva: vestirsi alla futurista vorrà dire riconoscere un modello sociale. L’abito servirà ad affermare la propria fede, anche in seno al clima interventista scatenato dalla Prima Guerra Mondiale. Balla crea abiti in tensione, dotati di collocazioni asimmetriche e tagli trasversali che rendono l’idea del corpo in movimento. Forme e colori hanno ruolo segnaletico, un’espressività immediata in linea con le richieste di comunicazione e scambio della vita moderna. L’apice è raggiunto dal “modificante”, un ritaglio di stoffa che, applicato al vestito, segnala lo stato d’animo di chi lo indossa con le proprie sfumature di colore. Balla pensa seriamente alla possibilità di tradurre gli stati più effimeri della vita in modo materiale. In questo senso psicologico e comunicativo sono concepite anche le sue scenografie teatrali e la costumistica degli spettacoli futuristi a cui collabora, dal 1914.

Ed in veste ludica provvede a reinventare gli elementi di arredo interno: mobili a struttura aperta che è possibile smontare e rimontare, fiori futuristi che sono concepiti come sculture da viaggio, da comporre ad incastro. Sono metamorfosi analogiche, in cui i colori e le soluzioni formali eccentriche provvedono di humour l’immagine di una natura artificiale, dalle mille variabili. La volontà totalizzante dell’artista non conosce limiti, tutto è soggetto alla sua riappropriazione. La mitologia della macchina è lontana ed incompatibile con questa esaltazione della libertà umana, che parte dall’istinto al gioco come forza vitale.

Arte-azione futurista
Nel 1915 Roma è percorsa da cortei e manifestazioni di piazza. Balla ne trae spunto per un nuovo ciclo di opere imperniate sul suo pensiero politico, il disprezzo per i neutralisti e la partecipazione all’energia attivista. Influenzato dalle opere di Boccioni, inserisce una tridimensionalità scultorea, pulsazioni ritmiche di forme neobarocche che si fanno e disfano in uno spazio continuo. La pittura a smalto contribuisce a delineare con precisione glaciale queste forme chiuse e volumetriche.

Per quanto doverosa da un punto di vista documentario, persino coraggiosa affrontando un passato storico non piacevole, ci duole ammettere che questo periodo produttivo non entusiasma. Se le opere precedenti ci hanno abituati ad una poetica della leggerezza eidetica, all’eroico coraggio dello sguardo vergine sul mondo, queste prese di posizione risultano incredibilmente stereotipate, prive di entusiasmo e spinta nella ricerca, in una parola: rigide e meccaniche. E’ un po’ un classico sempre confermato, l’ideologia politica non giova mai all’arte in senso stretto. Una poetica ridotta a didattica si impoverisce inesorabilmente.

Il tono umoristico farà ritorno alla fine della guerra, quando dal 1918 vengono realizzate una serie di opere a tema mondano. Lo sguardo ironico dell’artista traduce il nuovo stato d’animo della società romana in tinte caramellose, frantumando l’accadimento reale in molteplici schegge colorate. Non ci sono più regole, l’iterazione di forme e cromia è regolata solo dall’imprevedibilità dell’effetto.

Sensazioni ed energie
Il dopoguerra di Balla è all’insegna di un nuovo sperimentalismo. L’osservazione del fenomeno percettivo è ormai dato per assodato e ci si concentra sulla dialettica tra sensazione e forze latenti da cui la sensazione trae origine. E’ l’energia del mondo, il soffio vitale dello spirito il nuovo soggetto di ricerca. Proseguendo nell’indagine, Balla si discosta via via dagli avvenimenti per raggiungere segni metaforici, formule di sintesi che traducano sensazioni di vasta ampiezza, ambientali. Il mondo della velocità e della meccanica bellica cede il passo all’immanenza divina che si esprime nei cicli stagionali, nelle linee forza del paesaggio. I suoi paesaggi sono deserti perchè il tema del quadro è la vita del paesaggio stesso, cioè la sensazione che fa percepire l’energia in atto nei colori e negli odori della terra, nella luminosità dell’aria, nell’emergenza delle forme, nella tensione delle linee.
Anche quando un evento si inserisce di forza nel contesto, come un colpo di fucile, è utilizzato strumentalmente a rivelare un sistema energetico nel momento della crisi, visualizzando l’interferenza nell’ambiente. Le serie di opere aventi lo stesso tema significano appunto il progressivo svuotamento del contenuto narrativo a favore dell’autonomia del linguaggio.
Balla presenta una posizione intermedia tra l’ancoraggio stretto e limitante al dato fenomenico e l’arte astratta fine a se stessa, è un’analogia costante tra la scena cosmica, eidetica, ed il vissuto sensoriale di una particolare esperienza visiva, tattile, olfattiva.

Tutti coloro che dopo cercheranno un’alternativa mentale alla realtà, che sia Mario Merz alla ricerca del segreto della natura o Pascali che cerca di sintetizzarla ex novo, guarderanno a Giacomo Balla come ad un maestro.

Giacomo Balla – La modernità futurista
fino al 2 giugno 2008
Palazzo Reale, Milano
Curatori: Giovanni Lista, Paolo Baldacci, Livia Velani
Tutti i giorni 9:30 – 19:30, lunedì dalle 14:30, giovedì fino alle 22:30
Biglietti: intero \ 9; ridotto \ 7
Uff. Stampa: Lucia Crespi
Catalogo: Skira<

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