[oblo_image id=”1″] Ci sono farfalle che vivono una sola notte per morire alle prime luci dell’alba. Chissà se hanno il tempo di pensare se valga la pena di volare per così poco. Ci sono sogni che nascono una sera e che si spengono senza un motivo. O forse perché di motivi ce ne sono troppi. Helmut Ducadam, Duckadam per i rumeni che hanno lo sfizio di aggiungere una consonante, è entrato nella storia e ci è uscito in una notte, quella del 7 Maggio 1986. Si gioca la finale di Coppa Campioni tra Steaua Bucarest e Barcellona a Siviglia. Allo stadio ci sono 70.000 spagnoli e 100 rumeni: non è solo una questione di vicinanza geografica, il vero problema è che in quegli anni per i rumeni i viaggi di piacere fuori dai confini non sono così facili. I blaugrana sono più forti ma a calcio vince chi fa gol, non chi gioca meglio. La Steaua fa muro davanti alla propria area: è un disegno tattico preciso per trascinare la gara ai supplementari e ai rigori. I catalani attaccano e superano con una certa regolarità la linea Maginot avversaria: eppure i minuti passano e il risultato non si sblocca. Cosa succede? Succede che nella porta della Steaua c’è tizio con mustacchi fuori moda di quarant’anni che respinge tutto. Il Barcellona tira, lui para. Il Barcellona ritira, lui ri-para. 0-0 al 90′, 0-0 al 120′, si decide tutto dal dischetto. I tifosi spagnoli cominciano a maledire quel mostro che fa strozzare in gola ogni urlo di gioia; non sanno che quello hanno visto fino a quel momento è ancora niente. Perché una partita può anche finire senza un gol, ma quando si arriva ai rigori è inevitabile che si segni. A meno che il portiere sia Duckadam. Primo rigore: tiro a sinistra. Parato. Secondo rigore: tiro a sinistra. Parato. Terzo rigore: tiro a sinistra. Parato. Quarto rigore: l’attaccante cambia lato e tira a destra. Era ora ma è parato lo stesso. Lo Steaua vince la prima Coppa Campioni della propria storia, la prima per un’intera nazione con un trucco a cui nessuno aveva pensato: si è presentata con un portiere che non poteva prendere gol. I quotidiani del giorno dopo l’hanno scritto: “Superman esiste” e avevano ragione perché almeno per una notte Duckadam sembrava provenire da un altro mondo. Ma se quello che è successo in quella finale è ai limite del credibile, ciò che è successo dopo va oltre. Duckadam era il favorito per il Pallone d’Oro, il miglior portiere al mondo, la stella appetita dai più grandi club europei. Aveva 27 anni ed era lanciatissimo verso il gotha pallonaro. E invece quella Champions è stata il suo canto del cigno.

Cosa è successo? Qui la storia diventa un giallo, uno di quelli che piacerebbero tanto a Carlo Lucarelli. Un mistero dove le versioni ufficiali appaiono poco credibili e quelle ufficiose lasciano sospettosi, dove le smentite arrivano così tardive da apparire conferme indirette e i silenzi diventano ingombranti. L’unica certezza è che da quel 17 Maggio 1986 che lo aveva proiettato nell’Olimpo del calcio mondiale, Duckadam è precipitato nell’oblio chiudendo di fatto la sua carriera dopo aver dipinto il quadro più bello. Per quale ragione? Sono passati 24 anni e siamo ancora nel campo delle ipotesi. Trasandate, contraddittorie, sempre equivoche e aperte a successive reinterpretazioni.

Un gioco della sorte? Appena un mese dopo la sua serata di gloria, una trombosi dovuta allo spostamento di un grumo di sangue ne ha compromesso l’uso delle mani. Si salva dal rischio dell’amputazione ma la sua carriera di portiere è giunta al capolinea. Il portiere è caduto mentre stava giocando con i figli. Un incidente domestico, insomma. Ed invece no. Secondo un’altra ricostruzione, a risultare fatale sarebbe stato un fortuito colpo che lo ha centrato durante una battuta di caccia; mentre qualcuno non esclude che nel braccio ci fosse un’arteria di plastica.

E poi ci sono le interpretazioni politiche. Secondo i bene informati, che però non informano sul loro nome, Duckadam sarebbe stato vittima delle gelosie del figlio del dittatore Ceacescu, che non apprezzandone i sogni occidentali, ha deciso di bruciare sul nascere le trattative per un passaggio ai più ricchi club europei – la voce più ricorrente riguardava l’interesse di Alex Ferguson appena sbarcato a Manchester per riscrivere la storia dei red devils – sguinzagliando alcuni agenti della Securitate, la polizia segreta rumena, con l’imperativo di spezzare le mani del Superman dei pali. Da leggenda i particolari. Sarebbe tutta colpa di una macchina. Una fiammante Mercedes regalata dal re di Spagna in persona come segno di riconoscenza per aver fermato la corsa dei rivali storici del Barcellona.

Ma possono mancare le smentite? La sfavillante Mercedes sarebbe stata una Dacia di fabbricazione rumena, che con duecento dollari rappresentava il premio per la conquista della Coppa Campioni. Inoltre, Duckadam ha ribadito come la fine della sua carriera sia attribuibile solo ad uno sfortunato problema fisico e ha invitato ad usare toni più sfumati nei confronti del regime.

Caso risolto? Forse. Perché le voci si rincorrono, mentre le smentite del portiere hanno il difetto di essere arrivate con quindici anni di ritardo. E poi ci sono ancora gli aneddoti, le storielle metropolitane, gli incroci, le zone d’ombra che alzano una cortina di fumo a tratti impenetrabile. La fuga? Duckadam è volato nel 2003 negli Stati Uniti: l’ennesimo caso di campione rumeno che sulla scia di Nadia Comaneci ha preferito le libertà oltre oceano? Forse. Però, ci sono altri particolari che non convincono. Il portiere avrebbe vinto il viaggio negli States come premio per una lotteria. E perché poi sarebbe tornato poco dopo in Romania? Forse per diventare il presidente della Steaua Bucarest, il suo incarico attuale. Ma è meglio andarci cauti: ci sono ancora tanti fogli bianchi per scrivere i capitoli mancanti della storia di Superman e altrettanti per riscrivere i capitoli precedenti. Per fortuna la copertina, quella che fotografa la notte di Siviglia, non la può strappare nessuno.

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