[oblo_image id=”2″]Era sul punto di chiudere i battenti, aveva già annunciato l’ultima proiezione, ma ecco che c’è un fausto cambiamento di rotta e così il cinema Manzoni, uno degli ultimi monosala del centro storico di Ferrara, decide di rimanere aperto, almeno per ora. Il fenomeno della chiusura inevitabile dei cinema del centro ha coinvolto molte aree urbane italiane, a causa della concorrenza incontrastabile dei multiplex. Si tratta non più dei semplici multisala, che spesso sono solo l’evoluzione di un complesso cinematografico già esistente, ammodernato poi in ambiente multi-schermo. La spiazzante alternativa è invece quella di una struttura polivalente che viaggia sempre più verso complessi ancora più innovativi, quali i megaplex, ovvero città in miniature al cui centro sorgono numerose sale da proiezione. Dico al centro perché tutt’intorno vi è di tutto, dai centri commerciali, a negozi di vario genere, punti di ristorazione e ovviamente ampie zone di parcheggio.

L’attrazione esercitata dai nuovi mega-cinema è ovviamente forte, soprattutto sui giovani, che trovano più comodo recarsi in queste strutture fuori città e trovano più eccitante immergersi in una miriade di stimoli commerciali, tra cui la visione del film non è sempre prioritaria.
Salvare un cinema monosala quale il Manzoni, che dal 1949 proietta nella storica via Mortara, è un’impresa non solo nostalgica ma un’operazione culturale strenua e ben motivata, che valorizza una certa cultura del cinema, ancora pienamente viva, legata a una programmazione più attenta alla qualità e meno alla commercialità. La percezione dello spettatore, quella che orbita attorno alla sala e che riversa per le vie del centro le emozioni e le impressioni della visione, non è da trascurare e costituisce un’esperienza che ancora affascina molti, i quali la preferiscono a quella dispersiva e caotica del multiplex. Inoltre quell’atmosfera sospesa e spesso incantata delle sere ferraresi, la penombra urbana delle vie che ammanta i pensieri solitari o i dialoghi concitati del dopo cinema o ancora la velocità delle biciclette che segue il lento voyeurismo della sala sono il contesto unico che completa la fruizione della proiezione.

[oblo_image id=”4″]Si parla ovviamente di spettatori speciali, questi della monosala, spesso separati da quelli del multiplex da un gap generazionale e da un’eterogenea passione per il cinema. Ecco perché vale la pena salvare il Manzoni così come le altre monosala dei centri storici, per il loro pubblico, per il loro modo di vivere la visione di un film, per quel particolare uso sociale che si costruisce attorno all’attività della sala. Ne sia una riprova la solidarietà ricevuta dal gestore del Manzoni, Gabriele Caveduri, da parte di molti avventori, nonché dall’enorme affluenza di pubblico a quella che doveva essere l’ultima proiezione, la scorsa domenica. Per non parlare, poi, di questa vera e propria operazione di salvataggio che è stata avanzata da alcuni sostenitori per promuovere un eventuale avvicendamento gestionale.

Un atto imprenditoriale che contrasta con le tendenze espansionistiche dei multiplex e che potrebbe risultare un’operazione fortunata per ricreare quel clima unico, di carattere più familiare, che specialmente la città estense può concedersi di offrire, grazie a dimensioni e distanze interne non paragonabili a quelle metropolitane. Un’azione economica che deve fare i conti con le eccessive vessazioni esattoriali di cui si è lamentato Caveduri, cercando l’aiuto delle istituzioni. Secondo l’assessore regionale Ronchi una soluzione potrebbe intravedersi nel trasferimento delle responsabilità alle regioni, più capaci di occuparsi dello sviluppo locale, al fine sia di promuovere i nuovi complessi multiplex sia di rivalorizzare le sale del centro storico.

Si tratta pertanto di puntare più su una pianificazione alternativa che non su una vera concorrenza, ovvero su una politica di recupero che non si confronti tanto sugli avanzamenti tecnici della sala, che si auspicano possibili anche in una ristrutturazione della monosala, ma sulla specificità dell’offerta. Ci si auspica che oltre al Manzoni anche altri cinema italiani possano ritrovare la propria tradizione e il proprio pubblico, restituendo allo spettatore quel singolare rapporto empatico con la visione, estesa tra la luce dello schermo e le ombre sfuggenti della città.

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