“E’ importante questo posto, perché quanto arrivi qui non conta da dove vieni o che problema hai, quando arrivi qua sei benvenuta. Trama di terre è importante non solo per le donne straniere, ma anche per le italiane”.

Victoria Ada Nwadike è una forza della natura, africana possente e accogliente che si illumina quando parla di Trama di terre, che definisce senza esitazione casa sua. Ma non solo lei descrive il casale a due piani restaurato nel centro storico di Imola, dove ci sono alloggi per una decina di donne e i loro bambini e bambine, una biblioteca, una sala riunione, internet point, una scuola di italiano, un ristorante (La cucina abitata) e un cortile con pozzo come ‘casa mia’ o come la propria seconda casa. Lo dicono anche Naida Altoungi, Kadija Aitoubi, Teresa Gagliostro, Maria Luisa Mazzocca, Marina Grazia, Silvia Varas che a Trama lavorano in vari ruoli: mediatrici culturali, insegnanti di italiano, segreteria, formazione.

Trama di terre è l’ultimo centro interculturale indipendente gestito da donne migranti e native rimasto in piedi in Italia, che nei primi giorni di dicembre ha festeggiato i suoi dieci anni tondi di vita, lotta e re-esistenza in un territorio difficile, come quello di una provincia emiliana ricca e ripiegata su di sé, e più in generale in un paese (e da parte di una sinistra in particolare) che non sempre premia gli sforzi generosi e intelligenti di un pugno di donne ostinate.

Ostinate a cercare di coniugare l’accoglienza di migranti in situazioni problematiche, la gestione dell’emergenza e lo sviluppo culturale attivo e tangibile della differenza di genere che si è concretizzata in questi anni attraverso centinaia di incontri, seminari, manifestazioni, produzione di video, cd e testi che oggi sono un patrimonio immenso al quale chi vuole fare intercultura può e deve accedere se vuole praticare una relazione tra migranti e native con un taglio di genere che non si nasconde dietro alle difficoltà.

Ostinate anche nel nominarle, le difficoltà e i conflitti le donne di Trama di terre lo sono fino in fondo, e lo hanno dimostrato proprio nel momento del loro genetliaco, al punto da promuovere, proprio per un compleanno così importante come quello dei dieci anni, una tre giorni a dicembre dal titolo inequivocabilmente provocatorio “Il multiculturalismo fa male alle donne?”.

La domanda, lanciata a fine anni ’90 dalla studiosa femminista Susan Moller Okins, scomparsa di recente, è stata raccolta come un fecondo approccio conflittuale in Europa da parte dei gruppi e dei movimenti che si occupano di intercultura con ottica di genere in modi diversi e con diversa fortuna; in particolare la rete del Wluml (Women living under muslims laws) e il centro londinese Southall Black Sister, ospiti nel 2006 della rivista Marea all’incontro genovese “La libertà delle donne è civiltà” lavorano da tempo sull’allarmante fenomeno del relativismo culturale, che diventa difesa e tutela acritica dei diritti universali neutri delle comunità a scapito di quelli, non considerati universali ed inviolabili, delle donne. In Italia l’approccio della Okins che antepone i diritti delle donne a quelli delle tradizioni e dei costumi, in genere di derivazione patriarcale e religiosa, delle comunità migranti è guardato con sospetto per due ordini di motivi: il primo perché viene da una studiosa nordamericana, quindi invisa alle frange più ideologiche a sinistra e il secondo perché lo si percepisce come poco accogliente verso le comunità migranti, dove evidentemente la questione dei diritti di uguaglianza e cittadinanza delle donne apre conflitti e scompagina la logica dell’enclave.

Il difficile crinale sul quale le donne di Trama da un decennio hanno scelto di lavorare è proprio questo: coniugare accoglienza senza nascondere il proprio posizionamento a favore della crescita della capacità delle donne di autodeterminarsi, anche e soprattutto quando questo significa entrare in conflitto con le comunità di appartenenza. Un compito assai arduo, visto da una parte la diffidenza di parti di femminismo e, inoltre, l’apatia e l’incompetenza istituzionale.

“Trama è stato ed è da dieci anni un tentativo di dare corpo e voce ad altre parole e a vite spezzate, un luogo molto abitato e uno spazio di riflessione positiva, luogo di storie che non sanno più rimettere insieme i pezzi e un luogo dove è possibile praticare un continuo riadattamento. Non tanto delle nostre posizioni, ma anche dell’habitat, del modo di stare insieme rispetto alle esigenze nuove che via via si presentavano– spiega Tiziana Dal Prà, che di Trama è una delle fondatrici -. Il nostro è un lavoro che svolgiamo spesso in un deserto di solitudine sia politica che economica, perché se la questione interculturale non è di certo nell’agenda dei femminismi altrettanto vale per l’agenda delle istituzioni. Si confondono politica e servizi: i servizi da soli non bastano, serve far capire che il lavoro da fare sull’immigrazione non è solo erogazione di servizio, ma è soprattutto creare cittadinanza e dentro la cittadinanza formare consapevolezza dei diritti delle donne. Trama è depositaria di nodi cruciali, tra i quali quello più spinoso riguarda proprio i diritti femminili, e la loro nominazione. Abbiamo raccolto l’eredità più importante e anche più disattesa del pensiero femminista: il personale è politico. Se tengo mia moglie dentro case e le impedisco di uscire, di mangiare, di educare i bambini io lo chiamo sequestro di persona e questo è duro da dire perché il discorso scivola presto sul fatto che sono culture ‘altre’ che comunque in tutte le famiglie, anche quelle italiane, ci sono problemi. La nostra peculiarità è proprio questa, evidenziare che è necessario il cambiamento, così come tra i nativi e le native, tra di noi, così anche nelle comunità migranti”.

All’incontro di Imola c’erano le poche, ma molto attente, realtà sparse in Italia che lavorano sulla questione migrante dal punto di vista delle donne: Acmid, associazione di donne marocchine, Candelaria, Cisda (coordinamento aiuto donne afgane), Amnesty. Da Imola nei primi mesi del nuovo anno partirà la costruzione di una rete che, avendo a disposizione l’enorme patrimonio costruito da Trama di terre diventi un soggetto collettivo in grado di diventare punto di riferimento per tutte, migranti, native, e soprattutto giovani donne e uomini delle seconde generazioni, che costituiscono il vero banco di prova dell’integrazione.

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