La programmazione odierna di Benevento Città Spettacolo avrà inizio alle 18.30, nei Giardini del Museo Arcos, con un doppio appuntamento di Trent’anni da leggere. Il ciclo di letture, curato da Danila De Lucia, proporrà La battaglia di Benevento di Francesco Domenico Guerrazzi, interpretata da Antonella Manzo e Ritorno ad Alphaville di Mario Martone, letta da Alfredo Calicchio e Pierpaolo Palma.

Alle 20.30, il suggestivo scenario dell’Arena Arco del Sacramento, accoglierà il concerto monografico su Peter Iliajc Chaikowski, intitolato …La musica dell’ALTRO, eseguito dalla Grande Orchestra Sinfonica della Repubblica di Udmurtia, diretta da Leonardo Quadrini.

Alle 20.45, al Teatro Comunale sarà in scena Magnificenza del Terrore, l’incandescente e ‘folle’ parola di Antonin Artaud, tradotta e re-inventata per la scena da Enzo Moscato, per un omaggio all’autore marsigliese a 60 anni dalla morte,

[oblo_image id=”1″]Alle ore 22.30, il Teatro de Simone ospiterà, in prima assoluta, Šostakovič, il folle santo, studio teatrale ispirato alla vita e all’opera del compositore russo Dmitrij Šostakovič, di Antonio Ianniello e Francesco Saponaro, per la regia e lo spazio scenico di Francesco Saponaro. Presentato da Teatri Uniti e interpretato da Tony Laudadio, l’allestimento si presenta come un melologo, in cui si fondono vita privata, musica e riflessioni sul rapporto cruciale tra artista e potere. Un’accalorata confessione, ricostruita da un ampio epistolario e da alcune prestigiose biografie, da cui emerge un complesso mondo interiore venato di malinconica ironia che rimanda ai racconti della letteratura russa.

Figura tra le più rappresentative e profetiche del Novecento, Šostakovič subisce la crudeltà di uno stato repressivo che tenta con la ferocia e con l’inganno di espropriare e manipolare la cultura. Infaticabile compositore, schivo, introverso, segretamente tormentato dai fantasmi della persecuzione politica, vive i suoi giorni all’ombra del tiranno. La sua eccellente complessità di compositore regala al futuro l’esempio di una musica toccante e universale che fonde, nonostante tutto, ironia e tragedia, tormento e gioia.

Alle ore 22.30, presso la Cattedrale di Benevento (cantieri), Ginestra Paladino proporrà al pubblico di Benevento La Rivoluzione siamo noi, originale allestimento ideato con Marco Alemanno e di cui ne è, anche, interprete.

La rivoluzione siamo noi, mutuando il titolo da un’opera di Joseph Beuys del 1972, è un viaggio letterario, una lettura concerto capace di condurre gli spettatori tra le pieghe più profonde della realtà, vista e vissuta con gli occhi delle donne.

lunedì 7 settembre 2009, ore 20.30
Benevento, Arena Arco del Sacramento
…la musica dell’ALTRO
Grande orchestra sinfonica della repubblica di Udmurtia (Russia)
diretta da Leonardo Quadrini
concerto monografico su Peter Iliajc Chaikowski

Ouverture sollennelle 1812 …”sopra l’unno della marsigliese”
Sinfonia n° 5 in mi minore
La bella addormentata, walzer
Il lago dei cigni, walzer
Capriccio italiano op 45

dire

Si formano, si plasmano e si trasformano tra amore e odio, attenzione e indifferenza, ammirazione e disprezzo, desiderio e paura: i rapporti verso “l’altro” – in linee generali, ciò che è esterno al nostro essere – si strutturano in modi e dinamiche differenti, colorate da un gamma pressoché infinita di sfumature psicologiche, antropologiche, culturali. Ma se si dovesse postulare la centralità dell’ego quale elemento fondante della natura umana, soprattutto nella nostra epoca (quella – dopo le speculazioni filosofiche di Hegel e Marx – che ha prodotto, almeno nelle sue forme più dirompenti e culturalmente dibattute, un fenomeno definito “alienazione” – etimologia lat. “alienus”, gr. “allos” = altro), allora “l’altro” si espande lungo l’infinita linea degli orizzonti possibili. Sia quelli remoti, nebulosi, ai limiti dell’impercettibile; sia quelli più vicini, che – talvolta e paradossalmente – si ammantano di un velo misterioso ancor più difficilmente penetrabile. Ad ogni modo, la relazione con “l’altro” non è mai un processo banale, magari relegabile in un olimpo ideologico e “disincarnato”; bisogna che si ‘verifichi’, che abbia storicamente luogo, oltre ogni fatua virtualità. Si ricordi – ad esempio – la riflessione di Maine de Biran, che pure è considerato un esponente dello Spiritualismo: all’io che vuole non basta il pensiero, poiché è il contatto con il proprio corpo che – in definitiva – trasforma la volizione in azione. Quel che – in concomitanza con altri aspetti decisivi, come vedremo più avanti – scatenò il tormento disperato di Tchaikovsky, lungo tutto il percorso terribilmente accidentato della sua esistenza.

Il contatto col proprio corpo – conclude de Biran – non realizza, evidentemente, il rapporto con “l’altro” ma l’approdo all’esteriorità, suo ineludibile presupposto: l’avventura verso “l’altro” sta per cominciare.

Ed è, naturalmente, un’avventura sconfinata, impossibile da racchiudere nel breve volgere di poche righe. Certo, “l’altro” nell’arte e nella musica ha vissuto epoche alterne, vagando dall’individualismo pressochè assoluto, nel quale certo pensiero estetico includeva la figura dell’artista (non di rado creatore indifferente nei riguardi del fruitore come, ad esempio, in certa musica contemporanea; insomma, mero narcisismo), al realismo zdanoviano dove “l’altro” collettivo, la società, dunque la precisa corrispondenza estetico-linguistica tra creazione e fruizione di massa, erano riconosciuti quali riferimenti essenziali, che addirittura determinavano la natura artistica dell’opera. Una storia, come si vede, nient’affatto semplice per “l’altro”, nei labirinti della filosofia, dell’arte e della musica.

Rivolgendo un istante ancora l’attenzione all’opera d’arte, per essa si porrebbe la complessa problematica del divenire “altro” da sé. Una “querelle” che tanto ha vivacizzato il dibattito filosofico e musicologico – un nome per tutti, Gisèle Brelet – in merito all’intepretazione musicale: la V Sinfonia di Tchaikovsky, interpretata dal M° Quadrini o da qualunque altro direttore, è la stessa che creò il compositore russo? Bastano le note della partitura a restituire, nella pura e totale integrità, il “parto” musicale primigenio dell’autore, destinato sempre a rinascere tra le mani, nel cuore, nella mente di ogni successivo esecutore?.

Per completare – in estrema sintesi – il quadro relativo all’arte musicale, dai tratti così complessi e controversi, alle figure dell’autore e dell’interprete va aggiunta quella dell’ascoltatore. En passant, possiamo ricordare molti pensatori, soprattutto di ascendenza illuministica, secondo i quali nella percezione dell’ “altro” (il fruitore-ascoltatore) sintonicamente diviene “altro” anche l’opera, così come la realtà nel suo insieme. “Il mondo e gli oggetti – scrive Leopardi nello “Zibaldone” – sono doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna, udrà cogli orecchi un suono di campana; e nel tempo stesso con l’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di oggetti sta tutto il bello e il piacevole delle cose”. Dunque, “altro” si aggiunge ad “altro”, in una caleidoscopica trama di rimandi, riflessi, connessioni, metamorfosi.

E “l’altro”, con i suoi splendori e le sue ombre, si riversò sulla vita – probabilmente anche sulla morte – di quell’immenso musicista che fu Piotr Ilich Tchaikovsky. Ben presto orfano della madre, cui era morbosamente legato, il compositore dovette confrontarsi – in un contesto storico che certo non lo favoriva – con la propria omosessualità.

“Altro” come diverso, dunque: non solo per scelte artistiche (quando il “Gruppo dei Cinque”, celebre sodalizio di musicisti suoi connazionali, esaltava l’importanza del patrimonio musicale nazionale russo, lui manteneva saldo il riferimento alla tradizione mitteleuropea) ma anche per orientamento sessuale. Ciò che per il nostro artista fu un dramma perpetuo, senza mai requie, cui sperò di dare soluzione persino con un improbabile (ed ovviamente fallimentare) matrimonio. Anche sulla sua morte si allungarono ombre inquietanti, promanate da un’ “alterità” che avrebbe – secondo molti studiosi – sortito l’effetto fatale: non il colera, versione “ufficiale”, ma il suicidio per avvelenamento imposto da un “giurì” di alte personalità russe, nell’assoluto segreto, in seguito ad una relazione amorosa “proibita” avuta con un giovane di aristocratico lignaggio (pericolosamente foriera di uno scandalo travolgente), sembra abbia posto fine ai giorni terreni di Tchaikovsky.

Nel tempo e nello spazio, l’universo dell’ “altro” sembra dispiegarsi all’infinito, con i suoi volti molteplici, cangianti: diverso, straniero, amante, sconosciuto, amico. E nemico, talvolta finanche alla morte: ben lungi, dunque, da quella dinamica dialettica che, per il tramite necessario dell’ “altro”, realizza ed approfondisce la conoscenza umana; anche, soprattutto quella di se stessi, cui lo specchio dell’ “altro” rimanda tratti ignoti altrimenti non ravvisabili. E’ ciò che notava, ad esempio, Montesquieu nelle “Lettere persiane”: “Il nativo capisce meglio la propria realtà a contatto con l’estraneo… l’estraneo capisce la realtà del nativo prima di lui”. Ed è ciò che, in varia misura, avviene in ogni rapporto con “l’altro”: ove la ‘conditio sine qua non’ è il riconoscimento reale di chi, appunto, è’ “altro” da noi, senza infingimenti o strumentalizzazioni. Forse troppo, nella nostra epoca inaridita, devastata dal narcisismo e dall’egocentrismo in forme ai limiti della patologia sociale. Ciò che sostenne Jean Paul Sartre, secondo il quale i rapporti tra gli uomini sono impossibili proprio per la tendenza – di matrice narcisistica – ad alienarsi a vicenda: “L’inferno sono gli altri” suona come una sentenza inappellabile, sigillo di un dramma, “A porte chiuse”, le cui algide vibrazioni si spengono lentamente nell’oscurità assoluta. Chissà, forse un barlume di speranza, almeno per i credenti, in questo tempo senza luce, balugina ancora nel principio che un Maestro nazareno proclamò due millenni fa, laddove l’amore per “l’altro” diviene comandamento supremo; l’amore per il nostro prossimo qualunque sia il suo nome, la sua storia, la sua cultura, il colore della sua pelle, la sua fede, la sua provenienza. Chiunque egli sia.

Lunedì 7 settembre 2009, ore 22.30
Benevento, Teatro De Simone
Šostakovič il folle santo
drammaturgia Antonio Ianniello, Francesco Saponaro
regia e spazio scenico Francesco Saponaro
con Tony Laudadio
suono Daghi Rondanini
luci Lucio Sabatino
costumi Rossella Aprea
aiuto regia Simone Petrella
direzione tecnica Lello Becchimanzi

colonna sonora: Dmitrij Šostakovič
Sonata per Viola, I mov. – Sinfonia n°7, I mov. – Quartetto n°8, III mov. – Quartetto n° 3, III mov. – Jazz suite n°1, II mov. Polka – Sinfonia n°9, II mov. – Quartetto n°7, III mov. – Quartetto n°3, V mov. – Sinfonia n° 8, III e IV mov.

Studio teatrale ispirato alla vita e all’opera del compositore russo Dmitrij Šostakovič. Melologo in cui si fondono vita privata, musica e riflessioni sul rapporto cruciale tra artista e potere. Un’accalorata confessione, ricostruita a partire da un ampio epistolario e da alcune prestigiose biografie, da cui emerge un complesso mondo interiore venato di malinconica ironia che rimanda ai racconti della letteratura russa.

Figura tra le più rappresentative e profetiche del Novecento, Šostakovič subisce la crudeltà di uno stato repressivo che tenta con la ferocia e con l’inganno di espropriare e manipolare la cultura. Infaticabile compositore, schivo, introverso, segretamente tormentato dai fantasmi della persecuzione politica, vive i suoi giorni all’ombra del tiranno. La sua eccellente complessità di compositore regala al futuro l’esempio di una musica toccante e universale che fonde, nonostante tutto, ironia e tragedia, tormento e gioia.

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