[oblo_image id=”1″] 162 presenze in tre stagioni, il premio come miglior arbitro della sezione di Torino e una carriera in ascesa. Poi arriva la malattia, così brutta da mettere paura già nel nome: osteosarcoma teleangectasico al femore destro dedifferenziato a grandi cellule anaplastiche riccamente vascolarizzato.

Per Edoardo Vanotti, giovane e promettente giacchetta nera, inizia un calvario caratterizzato da quindici cicli di chemioterapia e cinque interventi chirurgici che non riescono ad evitare che il cancro si espanda fino a rendere necessaria l’operazione di amputazione della gamba destra. Poi però prevale la forza di volontà e la voglia di riprendersi la propria vita. L’ausilio di una protesi e il ritorno a fare ciò che si è sempre amato fare. Dal 2005 è un apprezzato doppiatore, recita a teatro da quando aveva otto anni e nel tempo libero come tanti suoi coetanei si diverte ad uscire con gli amici o a fare escursioni in handbike. L’ultimo tassello per ricomporre il mosaico è rappresentato dal ritorno in campo, ma ecco la doccia fredda.

“Alla mia richiesta di riprendere l’attività – spiega lo stesso Vanotti – l’AIA (Associazione Italiana Arbitri) ha risposto negativamente invitandomi a svolgere un incarico d’ufficio. Mi è stato chiesto come mi sarei comportato da arbitro di fronte ad un giocatore irrimediabilmente infortunato. Ma io non sono in queste condizioni”. Regolamenti federali alla mano, infatti, non vi è alcuna norma che vieti a chi ha subito un’amputazione ad un arto di dirigere un incontro. Ovviamente dopo aver superato i test atletici di rito che tuttavia finora non sono stati concessi. Una scelta apparentemente inspiegabile perché come sottolinea lo stesso arbitro 22enne “non chiedo un gesto di solidarietà e ancor meno di compassione, ma semplicemente che venga rispettato un mio diritto. Non accetto che siano ad altri a stabilire se e quando chiudere la mia carriera”.

E la determinazione nel proseguire l’ennesima battaglia aumenta ripensando ai sacrifici fatti: “Ho dato tutto me stesso all’AIA: mi sono presentato un mese dopo l’amputazione ad una riunione per chiedere a tutti di non abbandonarmi in un momento così delicato. In quell’occasione ho sentito l’affetto di tutti; da allora però la situazione si è completamente raffreddata”. A conferma della passione per il mondo dei fischietti, basta vedere la sua pagina Facebook dove un’intera sezione fotografica è dedicata alle immagini dei direttori di gara di A e B.

Una situazione che potrebbe creare un pericoloso precedente sfiorando l’onta della discriminazione. Una storia in cui però è ancora possibile scrivere il lieto fine ritornando sui propri passi e non spezzando il sogno di un ragazzo che non chiede altro che tornare in campo per chiudere un cerchio e lanciare un messaggio di forza a chi ha vissuto la stessa esperienza. In fondo l’equità dovrebbe essere il primo requisito nel mondo arbitrale…

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