[oblo_image id=”1″] Adorava l’abitudine. Ha amato una sola donna, ha allenato una sola squadra, ha incarnato ciò che gli Usa volevano essere. John Wooden se ne è andato a 99 anni, nella sua Los Angeles. Lo chiamavano tutti – figli compresi – il “coach”. Insegnava basket e molto di più: è stato il primo tecnico ad entrare nella Hall of Fame, ha ricevuto anche un’onorificenza dal presidente. La carriera? Semplice. Ha conosciuto una squadra, Ucla (il team universitario di Los Angeles), se ne è innamorato e l’ha allenata per trent’anni. Conquistiando il titolo dieci volte, ottenendo la media vittoria più alta della storia della pallacanestro. La vita privata? Semplice. Ha conosciuto una ragazza, Nellie Riley, se ne è innamorato e ha trascorso con lei sessant’anni. I più belli della sua vita, ripeteva nelle ultime interviste. Perché dopo la morte della moglie, il “coach” si trascinava preparandosi al giorno in cui l’avrebbe incontrata in cielo. Nessuno sapeva di basket come lui, eppure le sue erano lezioni di vita. I giocatori si rivolgevano a lui con la stessa fiducia chiedendogli consigli per uno schema o per il futuro sapendo che Wooden avrebbe trovato la risposta giusta. Preoccupatevi più del vostro carattere che della vostra reputazione, perché il vostro carattere è quello che siete realmente, mentre la vostra reputazione è solo quello che gli altri pensano che voi siate”, si raccomandava con i suoi ragazzi. Passavano le squadre, passavano le generazioni, le sue perle di saggezza continuavano ad indicare la strada. Non c’è e non ci sarà un altro John Wooden. Ma quello che ha fatto rimane al di là della storia: per il basket è da tempo leggenda.

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