[oblo_image id=”1″] La seconda puntata di Fazio e Saviano «Vieni via con me», in onda su Rai Tre lunedì 15 novembre, ha registrato il 30,2% di share con 9.000.000 di spettatori, battendo tutti gli altri canali Mediaset e Rai e superando ogni record di ascolti. Il GF 11 è stato seguito da circa 5.000.000 telespettatori con il 20,38% di share; la replica de “Il commissario Montalbano” in onda su Rai Uno ha ottenuto il 13 % di share mentre su Italia Uno circa 3.500.000 italiani per l’11% di share guardavano il film comico “Un’impresa da Dio”. Da quanto emerge dalle elaborazioni dei dati Auditel, la trasmissione ha riscosso un enorme successo tra i giovani e tra i laureati, il 57,41% dei quali lunedì sera ha scelto «Vieni via con me». Al di là delle polemiche legate al direttore generale Mauro Masi, agli ospiti non pagati, a Saviano showman e negli ultimi due giorni alla Lega e al ministro Maroni ciò che sconvolge piacevolmente e mette in condizione di sperare che qualcosa stia evolvendo è il grande riscontro che questo discusso programma di prima serata ha sul pubblico. La prima puntata è stata un capolavoro, una piccola perla di televisione come non si vedeva da anni. Un mix ben riuscito di informazione e denuncia, comicità e leggerezza che da solo ha riscattato la gran parte dei palinsesti spazzatura a cui ci eravamo ormai rassegnati. Saviano nel suo lungo monologo ha ricordato Falcone, l’eroe postumo che finché fu in vita venne abbandonato da tutti, venne accusato di protagonismo, di ricerca di visibilità e potere ancorché di protezione da parte della stessa mafia. Il messaggio fortissimo di Saviano, apologia di se stesso davanti a tutti i suoi detrattori, lasciava senza fiato. Il pensiero comune è che quando si denuncia una realtà così potente e capillare come la camorra, quando ci si schiera apertamente contro il Sistema che regola l’economia di tutto il Sud Italia e dell’intera nazione, non si può pretendere di restare vivi. La mafia se vuole ti uccide, se resti vivo è perché in fondo qualcuno ti protegge. Questa convinzione diffusa di cui anche Falcone a suo tempo sentiva la pesante e costante presenza è in grado di generare il sospetto, la solitudine attorno a questi personaggi il cui coraggio viene troppo facilmente scambiato con manie di grandezza o protagonismo, ricerca di potere e successo, trovate pubblicitarie. Vivere diventa la colpa sottile di personaggi come Saviano, l’acido corrosivo della loro immagine e credibilità: vivono perché qualcuno lo concede dall’alto, così come è stata concessa la pubblicazione di «Gomorra». Questo è l’indizio più significativo della rassegnazione di fronte a qualcosa che non si può o forse non si vuole cambiare. E questa è stata anche l’accusa da cui Saviano ha tentato di difendersi, paragonandosi a Falcone e indignandosi contro chi abbandonò o condannò il magistrato quando era in vita per poi santificarlo dopo la morte. Certi personaggi vivono prima che il momento storico sia pronto per accoglierli: Gesù Cristo, San Francesco, Giordano Bruno, Galileo, Darwin, Gandhi, Nelson Mandela e chiunque abbia permesso cambiamenti significativi nella storia dell’umanità è stato puntualmente anatematizzato, disprezzato, guardato con diniego o sospetto dagli uomini del proprio tempo. È il fio da pagare per il fatto di aver capito qualcosa prima degli altri o di essere promotori di idee nuove e rivoluzionarie. La mafia si può combattere. Questa è l’idea nuova. Questa l’utopia affascinante e pericolosa che ha in testa quel pazzo di Saviano. Ma la rivoluzione vera non sta in questa grande e meravigliosa affermazione ma nel numero di persone che hanno avuto voglia di ascoltarla e che l’hanno preferita alla leggerezza della programmazione concorrente. L’Italia può cambiare e dai dati Auditel ci possiamo illudere che siamo in molti ad aver voglia del cambiamento o perlomeno a non essere troppo cinici e disincantati di fronte alla possibilità di poter sconfiggere il grande cancro che da sempre corrode dall’interno e in ogni sua cellula il nostro paese.

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