La locandina del film "Una piccola impresa meridionale"
La locandina del film “Una piccola impresa meridionale”

Un prete spretato (Rocco Papaleo), una sorella fedifraga (Claudia Potenza) il cui amante è in realtà una lei, un cognato “cornuto” (Riccardo Scamarcio), una madre vecchia  e bisbetica (Giuliana Lojodice) troppo preoccupata al giudizio del paese per dare amore e sostegno ai due figli in crisi, una ex-prostituta in pensione (Barbara Bobulova) e un improbabile trio di una ancor più improbabile ditta di ristrutturazione, sono i protagonisti sui generis del secondo film di Rocco Papaleo, le cui vicende sono immerse in un’ambientazione remota, quasi flemmatica, sfumata di un non ben precisato sud d’Italia (forse tra la Puglia e la Basilicata).

Anche in questo caso Rocco Papaleo affronta il tema del “viaggio”, ma se in Basilicata coast to coast si narrava un viaggio reale, in fieri e dinamico, in Una piccola impresa meridionale  tutto è interno ai personaggi, tra dubbi, insoddisfazioni, disinganni e pregiudizi.  E’ un viaggio che potrebbe sembrare statico per la sua ambientazione: quasi tutte le azioni infatti si svolgono in un solo luogo, un faro sperduto a strapiombo sul mare, lontano dal paese, da bocche e occhi indiscreti, un faro che pian piano diventa un rifugio sicuro per diseredati, per personaggi non più capaci di vivere nella “loro” società (troppo chiusa, gretta, arida). Alla fine questo viaggio interiore porta alla trasformazione di tutti i personaggi che non va interpretata come una mutazione radicale bensì come un’evoluzione, un ritorno alle origini e al proprio io, senza maschere e senza paura del giudizio.

Inizialmente il protagonista assoluto è  Papaleo, ma poi pian piano si tira indietro per lasciare spazio alle vicissitudini degli altri personaggi che si aggiungono con vitalità, ad uno ad uno, a quel faro  simbolo di sicurezza e serenità, centro gravitazionale che unirà le loro strade e i loro destini; la sua ironia sorniona è ponderata con maestria, senza eccessi, le sue battute fanno sorridere e commuovere e scivolano via con leggerezza, quasi in sordina.

Bellissima è l’ambiguità del titolo: “impresa” intesa come attività economica organizzata (appunto l’impresa edile chiamata per riparare il tetto del faro ormai vetusto e in stato di abbandono), ma anche come azione difficile e faticosa. E qui l’impresa della ricostruzione di un edificio diviene l’incipit di una ricostruzione più profonda, interiore, come un piccolo prodigio.

Il finale seppur lieto ha un retrogusto amaro, aspro: tutti i personaggi si sono evoluti, anche mamma Stella riesce ad aprirsi al nuovo e alla diversità, mentre il mondo esterno è rimasto uguale, immutato. Emblematica, la scena del matrimonio omosessuale tra Rosa Maria e Valbona (Sarah Felberbaum) durante la festa di inaugurazione del faro trasformato in albergo, nella quale gli abitanti del paese alla vista del bacio dopo il fatidico sì, girano le spalle e vanno via sdegnati.

La musica è stata sempre al centro delle esperienze di Rocco Papaleo, con essa riesce a raccontare e a dar vita alle immagini (anzi per utilizzare le parole dello stesso regista: “E’ la musica che commenta le immagini del film o sono le immagini che commentano la musica?. Spero fortemente di non scoprirlo mai”). E difatti essa è l’altro grande protagonista del film, una felice combinazione di musica d’autore che a tratti evoca una sonorità popolare  unita all’eleganza briosa del jazz.

Una piccola impresa meridionale è un film che fa bene al cinema italiano in un periodo così delicato: piuttosto che soffermarsi sulle imperfezioni è più semplice entrare in sala e immergersi in un’atmosfera suggestiva. Si uscirà dal cinema soddisfatti e con qualche riflessione in più da condividere con gli altri.

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