Scrittore, astrologo, poeta, scrittore. Roberto Zadik è una figura eclettica: curioso nel conoscere il mondo e pronto a raccontare i luoghi della propria anima per offrire ai lettori un caleidoscopio di valori, ricordi, tracce.


Due libri che raccontano due città. Non sono libri di viaggi ma sono libri itineranti con le città che rappresentano metaforicamente i percorsi dell’anima. Come nasce l’idea di questo format, se possiamo chiamarlo così?

I miei due libri, Milanconie 2.0 dedicato alla Milano di oggi e alle sue contraddizioni e alle giovani generazioni e Soulcityty l’anima delle citta, che riassume in 7 storie altrettante città in cui sono stato,da Monza, a Gerusalemme, a Parigi, sono riassunti di geografie interiori che partono da quello che sento per esplorare i luoghi attraverso le persone e le tematiche. Ogni storia corrisponde a un argomento,a  un protagonista, finto o verosimile che incarna una mia o altrui caratteristica riflessa nella città o nel quartiere dove ambiento la storia. L’idea è nata leggendo i racconti di viaggio del grande Tiziano Terzani, piuttosto che di Antonio Tabucchi e i mille personaggi del poeta portoghese Pessoa e dai miei viaggi, di fantasia o reali in varie città e a contatto con stranieri che mi raccontavano le loro esperienze incontrati sul treno, in aereo, dappertutto. Sono sempre stato estroverso ma riservato e conoscere persone nuove è per me una fonte inesauribile di ispirazione ma anche di tormento. Tutti nasciamo in un luogo, da una cultura e ne portiamo le qualità e i difetti e siccome non amo le generalizzazioni, anche se nelle mentalità dei Paesi c’è qualcosa di vero, e mi piace unire soggettività e descrizioni dei luoghi, ho deciso di scrivere queste due raccolte di racconti. Girando da solo da adolescente e ora da quarantunenne, con un quaderno nella tasca  e l’ispirazione nella mente, quando ero a Barcellona o a Palermo ho cominciato a annotare appunti e a pensare a una possibile trama. Leggevo le notizie e creavo personaggi e ci infilavo alcune persone e una possibile storia. Viaggi, conversazioni, libri e la mia irrequieta curiosità hanno creato queste storie dove l’anima dei personaggi traccia l’anima del luogo o forse è il luogo a influenzarli, dove Milano, Parigi, Monza, Barcellona diventano lo sfondo e l’essenza di quello che intendevo raccontare. Forse ci sarà un terzo libro di questo genere o cambierò completamente, del resto scrivere è come viaggiare, in movimento o da seduti, seguendo l’anima, la fantasia, la gente incontrata. Ho cominciato a scrivere molto presto, a 11 anni, con disegni e brevi poesie poi col giornalismo sono passato alla narrativa e ho scoperto la mia dimensione nel racconto sociale e geografico, introspettivo ma movimentato e vitale.

Si parla spesso della contrapposizione tra libro e web, tra testo cartaceo e blog. E’ un vero duello o si tratta di negoziare scoprendo che possono essere due vasi comunicanti? Parlaci di Zadikshow

La contrapposizione, secondo me, fra cartaceo e web, col passare degli anni, sta diventando sempre più sottile, quasi invisibile e per quello che si legge qui in Italia e quanti invece smanettano su cellulari e simili, il web sta prevalendo mostruosamente in un vero scontro generazionale. I grandi lettori sono spesso i 50-60enni che adorano la carta mentre chi naviga nel web tanti giovani e ragazzi, leggono poco o niente. Alle giovani generazioni specialmente ma non solo, ovviamente, è diretto questo mio blog “Zadikshow” che ha diversi vasi comunicanti. Punto di incontro fra cultura ebraica, della quale si sa poco ma più di prima sicuramente, articoli impegnati ma anche notizie più leggere, questo blog l’ho creato dalle ceneri di una trasmissione radiofonica che ho ideato e condotto quando lavoravo per la web radio “Jewbox” , la prima radio ebraica italiana. Il programma si chiamava “Prozadik” (giocando scherzosamente fra il nome di un celebre antidepressivo e il mio cognome) e tante idee restarono per anni nella mia mente. Poi dal 2014 pensai di ritirare fuori per iscritto quelli spunti, su Dylan, Leonard Cohen o Lou Reed e di ampliarli anche al cinema, ai libri, al teatro creando una sorta di murales di idee e persone. Gli ebrei americani, europei e la vivace scena francese per arrivare ai festival israeliani, alla Portman, a Amos Oz. Tutti dentro nel calderone di “Zadikshow” che intende essere molto più di un blog, sul sito Mosaico, una finestra sul mondo ebraico di oggi e un continuo interscambio di notizie, omaggi a grandi autori, da Elie Wiesel, a Singer a Stanley Kubrick all’ultimo film uscito l’altro ieri o oggi pomeriggio…

 

Scrivi di città e sei cittadino del mondo, curioso nell’esplorare ma orgoglioso delle tue origini. Quanto è importante pesare e dare un peso alle parole in un momento in cui si vive in bilico tra due rischi opposti ma analogamente pericolosi: da un lato i nazionalismi e l’assenza di valori di riferimento

Dare peso alle parole è fondamentale anche se questo peso non deve essere esagerato. Siamo diventati troppo suscettibili, diffidenti, impauriti dal diverso e oscilliamo fra buonismo e xenofobia, divisi fra integralismo nazionale o religioso e consumismo e indifferenza che spesso si alternano e si fondono in aperta e assurda contraddizione fra loro. Viviamo un momento molto difficile, di grande nevrosi collettiva e personale e ci scaldiamo troppo per massimi sistemi, immigrazione, religione, Paesi senza ricordare i tanti problemi sociali e individuali italiani, dalla disoccupazione, alla droga e all’alcol, fra i giovani, al bullismo e alla solitudine sui quali invece appaiamo spesso molto freddi e apatici. Siamo diventati dei consumisti consumati dalla frustrazione e dall’apparenza e questi social network sono splendidi mezzi di comunicazione ma vengono usati spesso molto male come canale di ostentazione di felicità a tutti i costi e di aggressività verbale e fastidiosa fra sconosciuti o anche fra conoscenti. Le parole stanno diventando gabbie, armi, condanne, mentre invece sono uno splendido strumento di confronto. Viva il linguaggio contro silenzio e ipocrisia che spesso vanno per la maggiore! Non ho mai rinunciato a voler dire la mia, ma cerco sempre di essere cordiale e autoironico e coltivo la mia identità italiana, ebraica e cosmopolita con assoluta serenità e slancio positivo verso gli altri. Nonostante questo sono molto preoccupato di questa cupa fisarmonica di nazionalismo sterile e di apatia e nichilismo che noto in tanta gente. Non mi preoccupano tanto i problemi mondiali, quanto i malesseri cittadini, nazionali, le frustrazioni degli individui e le società a prescindere dalla politica, dalle bandiere e dai governi. La “pancia “ dei paesi è quella che poi genera mostri di dittatura, populismo e violenza. Più delle parole mi turba l’indifferenza che permette di insultare, offendere e aggredire chiunque la pensi diversamente.

 Milano, ne parlano tutti e pochi la conoscono veramente. Come la vedi ora e come la immagini domani?

Con la mia Milano, alla quale sono molto legato da sempre, ho un rapporto molto profondo ma contraddittorio e decisamente critico. A questa affascinante metropoli ho dedicato il mio primo libro “Milanconie 2.0” e la vedo in ascesa a livello turistico e di servizi anche se sempre nelle stesse zone ricche e noto tanto degrado e desolazione anche in quartieri un tempo di media portata.  La Milano di oggi è una città stimolante ma molto affaticata, preda di stereotipi esagerati di occupazione, vitalità e grandezza che spesso non corrispondono per niente alla realtà di oggi e fomentati dai media e da persone che vengono da piccole città alle quali Milano sembra New York o Disneyland o da un’immagine ormai vecchia di mezzo secolo, gli anni ’80 sono davvero molto antichi, dove questo luogo era terra di sogni e di speranze. Milano è sempre affascinante, piena  di cultura e di feste e divertimenti ma da ormai più di dieci anni a questa parte osservo lo squilibrio fra grandi eventi e moda e un felice “dopo Expo” con un aumento di turisti e iniziative che è innegabile e un acuirsi di crisi, solitudine, desolazione con tanti clochard che dormono in giro, delinquenza e violenza che fino a 15 anni fa non erano così presenti e una totale perdita come in molte città del Centro-Nord di tradizioni, cucina e dialetto. Milano ormai è una grande giostra dove alle giostre lucenti del centro, basta spostarsi di poche fermate di metropolitana, per incontrare zone in caduta libera piene di emarginati. Vedo vitalità ma anche classismo e squilibrio sociale, molta freddezza e formalismo nei rapporti umani e tanta solitudine e culto delle apparenze e la moda e la televisione hanno accentuato questi aspetti non solo a Milano ma in Italia. Questo Paese è molto cambiato come mentalità e spesso premia le apparenze a scapito dei contenuti. Non voglio essere pessimista perché non lo sono affatto, anzi, ma non rinuncio al mio spirito critico e alla sincerità spesso molto in disuso nella rappresentazione delle città e delle realtà. I lati cupi di Milano sono stati i protagonisti del mio primo e-book “Milanconie 2.0” uscito su amazon nel 2013. Amo molto questa città, ma per amare profondamente bisogna saper vedere anche i difetti per correggerli e non solo per lamentarsi, ovviamente.

Cosa significa veramente identità ebraica? E’ un concetto che si può definire?

Come giornalista di Cultura e dei media della Comunità ebraica milanese, curioso ascoltatore di serate e conferenze, lettore di libri avido e inquieto, ho spesso sentito parlare di identità ebraica e ho cercato di dare una definizione decente e magari esaustiva. Per me essa è un misto di fede religiosa, da dieci anni sono diventato più osservante ma prima ero laico e molto festaiolo, di radici storiche, geografiche e famigliari, provengo da una famiglia greca da parte di padre e turca dal lato materno ma mi sento anche e soprattutto molto italiano e di sentimento nazionale, sionista e cosmopolita. L’ebraicità non corrisponde sempre alla fede, ci sono diversi ebrei laici molto legati a Israele o alla tradizione e tanti tipi di ebraismo e di osservanza e aver scoperto un lato spirituale risvegliato dai miei studi sulla Bibbia mi ha risvegliato notevolmente in questo senso. Identità significa vitalità ma anche rispetto delle regole e dell’etica civile e interpersonale, e per la tradizione ebraica l’etica è fondamentale, sentimento ma anche lucida analisi di sé stessi e dei propri limiti e voglia di cancellare e abbattere i troppi stereotipi sempre uguali su di noi, cercando un dialogo continuo, sincero e equilibrato col mondo esterno partendo da noi stessi. Identità è una sfida, uno specchio interiore e esteriore, una continua conversazione fra quello che crediamo di essere e come gli altri ci vedono e questo riguarda tutte le appartenenze e non solo l’essere ebreo come nel mio caso. Forse per questo ho iniziato a scrivere, affascinato da personaggi come Kafka, Singer, Primo Levi e dalla loro efficacia espressiva e dal desiderio di mettersi in discussione tipico dei grandi autori mentre la presunzione, la saccenza e la chiusura spesso caratterizzano i dilettanti in ogni campo. Nel mio essere ebreo, cerco sempre di mantenere coerenza e apertura, fede e elasticità e di alternare ricerca di profondità a vivacità di spirito.

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