Guglielmo Forni Rosa, professore di Filosofia Morale presso l’università di Bologna, ha presentato il suo nuovo romanzo, Perduto nel quale racconta la storia di una persona che abbandona la facoltà di teologia di Torino e fugge in Africa, per cercare il senso più profondo della sua fede e della sua vita.

E’ un’Africa però non reale, ma una società immaginaria in cui sono incorporati i “non-valori” reali della società occidentale. Un dettato dell’esperienza di vita dell’università italiana, che si rispecchia nella società africana per rovinare la persona.

Il protagonista, Antonio Allori, si allontana dal nostro paese per una crisi interna, una scissione dovuta al problema se essere davvero cristiano seguendo lo status teorico delle discipline teologiche, oppure se è più importante seguire l’esperienza, che si contrappone ad una cultura ossessiva. La crisi ha un rilievo culturale: è la difficoltà di un mondo in cui ha vissuto, di cui ha avvertito il distacco in un disagio crescente.

Il personaggio è scomodo, un prete indisciplinato. E d’altronde, scomoda è la situazione al termine della vicenda, senza identificazione dei responsabili degli avvenimenti. Tutte le soluzioni possono essere vere. Non è un giallo infatti, è un thriller basato sulla realtà, una sua descrizione: le cose che accadono non le spieghiamo mai fino in fondo, mai conosciamo le vere ragioni delle cose.

Insieme a Forni, interviene il professore di Italianistica della stessa università Alberto Bertoni. Già dopo aver analizzato l’ultimo scritto di Forni, L’internamento di Nietzsche e altri racconti, era stata identificata questa notevole capacità di suspense, di tensione narrativa. Sotto questo punto di vista l’autore è “gaddiano”, la sua scrittura tende a dipanare il garbuglio del mondo, senza una soluzione univoca e, anzi, richiedendo la collaborazione reale e concreta del lettore. Quel che si può criticare, continua Bertoni, è che Forni tende a trattare corsivamente idee narrative che potevano corrispondere a racconti autonomi, o anche a brevi romanzi. Il pregio di questa qualità è la fluidità della sintassi, e in questo, di Gadda, non c’è niente.

Perduto è costruito con materiali eterodossi. Il romanzo è aperto da un prologo venti anni dopo le vicende accadute, succeduto da un epistolario non univoco – a volte il prete è il soggetto delle lettere, altre volte è l’oggetto, altri parlano di lui – successivamente un diario degli anni tra il ’71 e il ’72, quando arriva in Africa; una nota finale in cui il narratore del prologo, tramite alcune lettere ricevute, propone delle soluzioni probabili, ma nessuna certa. Infine la data e il luogo – emiliano – di composizione del finto autore. Un garbuglio, appunto, di realtà sovrapposte ma continuative.

Il tema è fondamentale per la nostra epoca: la religione cristiana e la modernità, e gli anni della vicenda sono emblematici per raccontare la sfida e la soglia di un’epoca. Siamo infatti all’inizio degli anni ’70, e il ’68 è molto vicino. D’altronde il problema non è Dio, ma a che punto un cristiano possa avvicinarsi al misticismo senza essere per forza confessionale. E, a questo punto, qual’è il limite verso cui tende l’eresia.

Bertoni sottolinea come vi sia un punto d’incontro con Silvio d’Arzo, uno dei più importanti scrittori del ‘900 italiano e misconosciuto. Ma l’incontro diretto è con il Tabucchi del Notturno Indiano. In “Perduto”, l’India è sostituita dall’Africa, ma il tema è lo stesso dello sperdimento del sé, senza la possibilità di redenzione dal consumismo – come nelle Avventure in Africa di Celati – né un senso inconscio di post-colonialismo, come si trova nelle Lettere dal Sahara di Moravia.

In realtà, l’Africa di Forni è più vicina a Conrad: è l’Africa che interroga le nostre coscienze, come fa quotidianamente. Ribaltando anche le prospettive, perché il continente nero, in questo libro, è lo stesso occidente. Da cui, sembra, non si può scappare.

“Perduto” di Guglielmo Forni Rosa
Mobydick editore
pp.112, Euro 11,00

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