[oblo_image id=”3″]A leggere l’ultimo romanzo di Antonio Scurati, si viene colti dal sospetto che la riesumazione di un periodo storico così obliato, quale il Romanticismo italiano, abbia il carattere di un’operazione strumentale. In puro stile manzoniano, si ambienta al passato una questione tutta presente. Si svela così un’improbabile comunanza d’intenti con il precedente lavoro dello scrittore, quel Sopravvissuto (premio Campiello nel 2005) contestualizzato nella più bieca contemporaneità. Incontrato l’autore alla presentazione del suo ultimo libro, sabato 9 febbraio alla Libreria Mondolibri di Corso Vercelli a Milano, non abbiamo resistito alla tentazione di chiedere conferma alle nostre supposizioni.

Nel primo caso una strage contro la perpetuazione della mediocrità (“una dichiarazione d’amore smisurato e senza condizioni verso gli adolescenti di oggi”), nel secondo addirittura una rivoluzione messa in atto da un manipolo di giovani idealisti. Scurati crede così fermamente in un’idea vitalistica della gioventù? Non è un’immagine un po’ dannunziana? Non mi piace molto il termine, diciamo che preferisco risalire alle origini di questa corrente di pensiero e rifarmi al vitalismo nietzchiano. Sì, è un’idea a cui credo.

[oblo_image id=”1″]E’ per incitare le nuove leve che ha rispolverato il tema dell’eroismo nazionale? I tempi presenti risaltano per contrasto in tutto il loro squallore, se paragonati a quelli delle Cinque Giornate di Milano. Il senso del declino, del ritorno ad una spregevole normalità fatta di compromessi e sotterfugi, è già un elemento ben presente nella stessa narrazione, che si svolge nell’arco di mezzo secolo. Si può invertire il corso della storia? In quel periodo gli uomini arrivarono a compiere grandi gesta (in Italia, ad avviare il processo di unificazione nazionale, il cosiddetto Risorgimento) ed a cercare nella vita quotidiana e nella storia collettiva degli assoluti. Apparentemente, sembra non ci sia nulla di più lontano da noi di quell’Ottocento romantico; ma io ne sono convinto, attraverso una storia segreta (non perchè qualcuno l’abbia segretata, ma perchè compie percorsi sotterranei, movimenti di falda), tutto quello è giunto fino a noi. Quel grumo di passioni ci scorre segreto nelle vene. E se uno soltanto si mette in risonanza con quella lontananza, sente una musica intensa echeggiare anche nella propria vita quotidiana. Ecco, secondo me, se l’arte e la letteratura possono fare qualcosa oltre ad intrattenerci, potrebbero fare questo: metterci in risonanza con una vita lontana, straniera, ma che al tempo stesso è la nostra. Noi usciamo di qui, in Corso Vercelli dove adesso ci sono i saldi, troviamo il meglio che il nostro destino sembra riservarci: un paio di scarpe con il 30% di sconto; perchè questa è la massima estasi della vita, nella società del capitalismo maturo. Che è meglio che morire sotto le bombe, meglio che fare la fame, meglio di tante altre cose. Però se ci pensate, tutto questa immane fatica è un po’ la tristezza dell’occidente nella sua fase terminale: anche gli ardenti sforzi dei patrioti, i sacrifici e queste straordinarie imprese, hanno poi condotto come massima felicità della vita a poter comprare un paio di scarpe. Ha un che di beffardo. Una cosa straordinaria che può fare la letteratura è farti uscire di qui a guardare Corso Vercelli; ed all’improvviso puoi visualizzare… una barricata. Perchè c’è stata, qui, una barricata. Come in quasi ogni altra strada di Milano, in quei giorni. Praticamente i milanesi presero gli interni della città: sviscerarono la città come un pesce sul banco del pescivendolo.

Con il suo irresistibile eloquio, da professore abituato a catalizzare l’attenzione dell’uditorio, Scurati rimanda all’incipit folgorante del romanzo, quel giovane sgargiante che si slancia coraggioso dalla barricata di piazza Cordusio. Chi è quell’uomo, ci si chiede nel romanzo. Cosa c’entra con noi, si chiede il lettore. Cosa c’entra una barricata con noi? Secondo me c’entra. Sta lì, da qualche parte. Per esempio, la nostra vita presente e la nostra Milano di oggi sono l’esatta negazione della vita della Milano di allora. Il rapporto esiste anche se è incentrato sulla dimenticanza.

Un po’ come ci si è scordati della ricchezza della lingua italiana. E’ un’opzione in controtendenza quella di Scurati, che cita deliberatamente brani famosi e stilemi collaudati di una lingua desueta, addirittura di un intero sistema di pensiero com’è quello Romantico. Trattasi di una dichiarazione di guerra all’attuale vuoto lessicale? E’ una presa di posizione non contro ma PER la ricchezza della lingua. Non so, a me questa letteratura dal fiato corto non convince, l’unica cosa che riesce a raccontare è ciò che accade nel raggio di un metro attorno all’autore. Per quanto oggi premi molto.

In un momento di citazionismo spudorato, di revivalismo estremo di qualunque passato storico più o meno esotico, potrebbe essere azzeccata anche la scelta di Scurati. Che, infatti, a ben vedere non scrive un saggio ma un romanzo, sacrificando parte del rigore storico all’invenzione letteraria. Eppure non si ha mai la sensazione di una lettura facile e distensiva, quanto di un velato atto di accusa.

[oblo_image id=”2″]Agli uomini che non siamo capaci di essere, a confronto con quelli che non sappiamo emulare. Anche alle donne, le eroine di un’altra epoca. I personaggi di Aspasia e della sua tutrice, pur non risultando contemporanei, godono di un’incredibile vitalità tutta moderna. La grande sorpresa del romanzo consiste infatti in questa traslazione di accento dall’eroicità di stampo maschile, tutta sul campo, e l’eroismo forse più sottile ma caparbio delle donne, che hanno il coraggio di amare e non solo di combattere. Diciamo che c’è un personaggio che in modo particolare è frutto di una deliberata invenzione. E’ lei, è Aspasia, è la mia eroina. Aspasia è una figlia del popolo, una popolana la cui bellezza è straordinaria, secondo i canoni del Romanticismo; è una bellezza che ha in sé il sentore forte dello sfiorire della bellezza stessa, ha in sé in filigrana l’annuncio della destinazione ultima della vita umana. La bellezza romantica è adulta, evoluta, parla ai sensi ma anche all’intelletto: perchè porta traccia della consapevolezza umana del proprio destino, al contrario dell’animale. Aspasia è un personaggio modellato su alcune caratteristiche delle donne dell’epoca, perché il movimento romantico fu la matrice prima di ogni rivendicazione femminista successiva. Unirono per la prima volta, sciaguratamente, senza più scampo per nessuno dopo, il desiderio (anche carnale) ed i rapporti tra uomini e donne. La donna acquista il diritto a seguire i propri sentimenti, deve fare del proprio amore una passione assoluta sciolta da ogni legame, convenzione sociale, condizionamento e regola d’interesse. Il corpo e la mente fanno tutt’uno, i due sessi si uniscono in una entità assoluta: le dualità cessano. Questa forma di proto-femminismo si manifestò in maniera scandalosa sulle barricate del ’48 a Milano perché le donne rivendicarono il diritto a fare la guerra, fino ad allora esclusivamente maschile. Sulle barricate di Milano le donne sparavano assieme agli uomini.

Perché inventare Aspasia e non prendere una di queste eroine, che ebbero un effettivo ruolo storico nelle Cinque Giornate? Perchè Aspasia è la mia preferita. Non potevo farle il torto di ridurla a qualcuno o qualcosa che ha avuto il cattivo gusto di venire al mondo davvero.

Autore: Antonio Scurati
Titolo: Una storia romantica
Editore: Bompiani (Narratori Italiani)
Anno di pubblicazione: 2007
Numero di pagine: 569
Prezzo: 19 euro

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